Esegesi dei vangeli? little exegetical howl

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“Le nebbie della notte hanno lasciato una freschezza vivida in cui si disperdono il nauseabondo odore d’ammoniaca di escrementi di pollo, il nauseabondo fetore della stoppia vecchia, il lezzo dell’immondizia marcita – stracci, la mandibola di un vitello squamosa di grosse mosche lucenti – che si raccoglie ovunque le piogge abbiano creato buche nel terreno tra le capanne. Le donne stendono le pezze di cotone in cui avvolgono se stesse e i loro poppanti. Un sole forte e vivido rinfresca il tessuto che sa di muffa. Fa splendere l’erba dei tetti e rende i muri di fango di un ocra dorato; la sostanza di cui sono fatte le case prende vita. In questo momento del suo arco di tempo, delle sue stagioni, il villaggio coincide con il momento generico del villaggio del fotografo, quello visto da distante, i cerchi attorniati dal paesaggio, quello tenuto nella mano panteistica, la singola comunità di uomo-e-natura-in-Africa riprodotta con raffinati procedimenti di fotoincisione in Olanda e in Svizzera” (Nadine Gordimer, Luglio, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 172; or. July’s Peole, 1981).

Ogni letteratura è questo, non capite, esegeti dei vangeli?

Ogni letteratura trasforma, leviga, omette odori, muffe, sporcizia, realtà concreta.

Anche i vangeli sono così, omettono la realtà concreta dei villaggi che Gesù viveva e vedeva, pensava, e teneva sempre di fronte agli occhi al naso, alla bocca, ai piedi.

Ma da decenni i preti cattolici italiani ci stanno dicendo che i vangeli vanno letti con gli occhi della fede perché sono stati scritti nella fede. Non vanno letti nella realtà che li hanno generati, ma nella fede di persone che vivono duemila anni dopo senza alcun rapporto con la realtà di povertà, di sofferenza concreta, senza la percezione del contrasto radicale che Gesù vedeva tra quella realtà e quella che egli pensava essere la volontà di Dio.

Anche i vangeli letti dall’esegesi narrativa letteraria teologica vedono i villaggi della terra di Israele in un “momento generico” come un “villaggio del fotografo della fede”, “visto da lontano”, “ tenuto nella mano del Dio teologo della chiesa”, fotografia “riprodotta con raffinati procedimenti” teologici delle teologie che dipendono dai concili cristologici e dalle rielaborazioni ratzingheriane antilluministiche.

I vangeli come li leggono questi esegeti, rappresentano la vicenda di Gesù avendo in mente spesso un cittadino romano ricco integrato nell’impero e sono preoccupati non della sua concreta condotta sociale quanto piuttosto della sua salvezza ultraterrena. Spesso questi esegeti preti cattolici italiani hanno il solo problema di combattere un presunto illumunismo,”la ragione illuminista” di intellettuali di classe alte. Pensano la fede come un atto di ragione che dovrebbe essere liberato dalla critica storica. Il loro problema è di mettere un luce una fede senza corpo materiale, fatto di ossequio alle istituzioni ecclesiastiche e ai suoi riti.