Pensiero esegetico del 13.1.10: "edificherò la mia chiesa" (Mt 16,18)
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- Pubblicato Mercoledì, 19 Settembre 2012 20:04
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Ci si può domandare come mai il vangelo di Matteo attribuisca a Gesù la celebre frase rivolta a Simon Pietro: «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa (ekklêsia)» (Mt 16,18). Questa frase è stata infinite volte utilizzata per sostenere che Gesù voleva fondare la chiesa, una realtà religiosa ben distinta e autonoma. Bisogna, però, anzitutto rendersi conto che buona parte dell’esegesi riconosce che questa frase non è di Gesù, ma è stato l’autore del Vangelo di Matteo che gliela ha attribuita circa cinquant’anni dopo la sua morte. Bisogna attribuire questa frase e il breve brano in cui è inserita (Mt 16,16-19) all’iniziativa di Matteo (che del resto è il solo a riportarla). La frase difficilmente può essere stata pronunciata da Gesù. Il Vangelo di Marco, quello di Luca e quello di Giovanni citano ben più di un centinaio di frasi, parabole, e discorsi di Gesù, ma la parola «chiesa» (ekklêsia) non vi appare mai. Anche il Vangelo di Matteo cita una quantità notevole di frasi di Gesù e non mette mai sulla sua bocca questa parola, salvo in due casi (Mt 16,16-19; 18,15-17). Il primo è quello appena citato. Il secondo è molto più articolato ed eloquente: «Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo alla chiesa (ekklêsia); e se non ascolterà neanche la chiesa, sia per te come un Gentile e un pubblicano» (Mt 18,15-17). In questo secondo brano Matteo si riferisce a un’organizzazione comunitaria che non esisteva quando Gesù era vivo. Sta immaginando una situazione tipica del suo tempo, l’ultimo quarto del I secolo. All’epoca di Matteo la parola «chiesa» era ormai molto usata. Appare, difatti, massicciamente negli scritti canonici del Nuovo Testamento che parlano della vita delle comunità dei seguaci di Gesù, alcuni decenni dopo la sua morte. La troviamo ad esempio nelle lettere attribuite a Paolo (circa 40 volte nelle lettere sicuramente autentiche e un po meno di 20 volte nelle altre) e negli Atti degli Apostoli (più di 20 volte). È nel clima storico della seconda metà del I secolo che le diverse comunità cominciano a porsi il problema della propria legittimità e del proprio collegamento con l’autorità di Gesù.[1]
La prospettiva di Gesù era dunque singolare: egli non pensava all’organizzazione di un proprio organismo autonomo, ma al rinnovamento di tutto il popolo di Israele in attesa della nuova realtà che Dio avrebbe di lì a poco instaurato. D’altra parte il Vangelo di Matteo gli mette in bocca un futuro e non un passato o un presente. Gesù non dice «ho edificato», né «edifico» ora, ma «edificherò» (oikodomêsô) la mia ekklêsia. Matteo era quindi consapevole che Gesù non aveva costruito una ekklêsia durante la sua attività. Poteva attribuire a Gesù l’idea di una ekklêsia solo come una prospettiva futura. L’esistenza e la costruzione di una ekklêsia non faceva parte della pratica di vita di Gesù.
Gesù non fonda una chiesa nel senso che non forma un centro di potere (normativo e stabilizzato, fondativo) al quale siano attribuite appunto le funzioni di legiferare, di ordinare, condannare, punire e garantire la salvezza (anche per il Vangelo di Giovanni è solo il Gesù risorto che attribuisce ai discepoli il potere di rimettere i peccati, Gv 20,23). In Matteo, le frasi attribuite a Gesù sulle chiavi del regno (Mt 16,19) riguardano chiaramente solo il futuro dopo la sua morte.
Il fatto che Gesù non fondi una comunità significa che egli non ha bisogno di assegnare funzioni e compiti che la strutturino. Gesù non organizza neppure nuovi luoghi di culto. Frequenta le sinagoghe e in esse agisce in modo inconsueto, ma non crea, per i suoi adepti, occasioni e luoghi di culto diversi, delle nuove sinagoghe alternative.