“LASCIA CHE I MORTI SEPPELLISCANO I PROPRI MORTI”

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La richiesta che Gesù rivolge ad alcuni di seguirlo va inquadrata, per Hengel, nel giudaismo del suo tempo sullo sfondo della chiamata che Dio rivolge ai profeti (vedi Amos) e che Elia rivolge a Eliseo. La sequela dei discepoli che Gesù esige è simie a quella dei farisei, dei profeti a tendenza zelotica, ma si differenzia radicalmente dai discepoli del rabbinismo più tardo. La assoluta incondizionatezza della richiesta di Gesù a seguirlo, si fonda - secondo Hengel - nella convinzione di Gesù di agire al posto di Dio, cioè nella sua pretesa messianica. Gesù si pensa messia e quella del messia è una concezione giudaica. Gesù rimane totalmente all’interno del giudaismo. Il Gesù storico è un Gesù ebreo. Su questo non si può tornare indietro. Il motivo, poi, per il qual Gesù richiede, con così grande radicalità e senza alcuna condizione, di essere seguito sta nel fatto che egli vuole associare i discepoli nell’annuncio dell’imminente avvento del regno di Dio escatologico.

A differenza di Hengel, qui non mi interessa discutere quale sia l’autorità che Gesù pensava di avere quando rivolgeva delle richieste cos’ radicali come quella trascurare il dvere di seppellire il proprio padre. E neppure voglio qui occuparmi di quale fosse il compito che Gesù assegnava a coloro che lo seguivano. L’intento di queste brevi pagine è invece di mettere in luce anzitutto quale debba essere l’atteggiamento del lettore di oggi per comprendere il detto di Gesù «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti». Cercherò poi di mostare come questa richiseta di Gesù abbia al suo centro la necessità del distacco dagli interessi familiari e la necessità di una vita radicale. Mi domanderò poi cosa significhi l’affermazione di Gesù che chi non segue Gesù è un “morto” e cosa signfichi per Gesù essere vivi.

2. Il detto e il suo contesto nella Fonte dei detti (Q) in Luca e in Matteo

            Nel Vangelo di Luca la parola di Gesù che prendiamo in considerazione suona così:

 

«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio» (Lc 9,60).

 

In Matteo:

“seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,22).

 

E’ molto importante rendersi conto che la frase “lascia che i morti seppelliscano i loto morti” è scritta dai due evangelisti con le stesse identiche parole greche poste nel medesimo ordine. Ed è anche molto importante notare che questa frase non si trova né nel Vangelo di marco né in quello di Giovanni. Né in altri testi. Il che significa che deve necessariamente esistere una parentela letteraria tra i due testi. La spiegazione più comune, che io seguo qui, è che Luca e Matteo abbiano preso questo detto dalla celebre raccolta di detti di Gesù, chiamata Q dagli specialisti, un testo ipotetico, che non è mai stato trovato, che conterrebbe soprattutto parole di Gesù. Molti studi sono stati dedicati negli ultimi decenni a questa raccolta di detti. Secondo la cosiddetta “Edizione critica di Q”,[3] in questa raccolta di detti, la frase seguiva la richiesta di seguirlo che Gesù aveva rivolto ad una persona. La frase che Matteo e Luca trovavano in questa raccolta dei detti di Gesù sarebbe stata la seguente:

Un altro poi gli disse: Signore, permettimi prima di andare e seppellire mio padre.

Egli gli disse: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti.

In Q, il passo si troverebbe prima dell’invio dei discepoli in missione da parte di Gesù e prima delle norme sul come andare in missione impartite da Gesù ai discepoli e ai Dodici. La frase fa parte perciò di una specie di introduzione all’essere discepoli di Gesù e all’andare in missione. In sostanza, Q pensava che non si potesse annunciare il vangelo, se non ci si era prima posti in una condizione di vita radicale. Chi non aveva seguito Gesù in questo modo talmente radicale da rinunciare a seppellire il proprio padre appena morto non poteva essere discepolo di Gesù e non poteva predicare il vangelo.

Nel Vangelo di Luca, invece, la frase di Gesù ha una collocazione diversa. Luca ha cercato di localizzare il detto in un tempo preciso della biografia di Gesù e ha ipotizzato che fosse stato pronunciato all’inizio del suo viaggio finale verso Gerusalemme. Luca lo inserisce proprio all’inizio di questo viaggio come risposta a coloro che volevano seguirlo.[4] Il viaggio verso Gerusalemme si snoda per 12 capitoli, dal capitolo 9 al 21: un lungo brano preceduto dai sei capitoli (4-9) che vanno dal battesimo all’attività in Galilea. La sezione che inizia col capitolo 9 descrive, secondo Luca, quindi, un periodo estremamente ricco e impegnativo per Gesù. Ed è comprensibile che all’inizio del cammino per Gerusalemme, Luca voglia far comprendere quali sono le condizioni che Gesù aveva posto ai discepoli che lo avrebbero seguito nella sua missione in questa fase finale e decisiva. Questa frase di Gesù però in Luca non è isolata: fa parte di un gruppo di tre detti radicali sulla sequela:

Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio».

Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9, 57-62).

In Luca, però, di richieste simili di Gesù, ve ne sono altre. Ad esempio, al capitolo 14, Gesù chiarisce quali siano le condizioni per seguirlo:

Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (14, 25-33).

 

Ugualmente, Luca riporta le seguenti richieste di Gesù:

 

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (12,49-53).

 

Sia al capitolo 14 che al capitolo 12, quindi, le richieste radicali di Gesù sono di rompere i rapporti con la propria famiglia in attesa dell’imminente avvento del regno di Dio. Il nostro detto di Luca 9, 59-60 va posto, perciò, posto in linea con questi altri due gruppi di detti che riguardano le condizioni per iniziare a seguire Gesù e la necessaria rottura con tutti gli interessi familiari.

Il Vangelo di Matteo, a sua volta, colloca la frase di Gesù in tutt’altro contesto di quello di Luca. Gesù ha appena iniziato la sua attività. Dopo il battesimo di Giovanni e le tentazioni, va in Galilea, chiama quattro discepoli lungo il lago e poi proclama il lungo discorso della montagna. Guarisce un lebbroso, guarisce il servo del centurione, va in casa di Pietro a Cafarnao dove guarisce la suocera di lui. A questo punto decide di andare dall’altra parte del lago:

Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti» (Mt 8,18-22).

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Matteo unisce al nostro detto solo un secondo e presenta una composizione di due detti e non tre come avviene in Luca. Dopo avere pronunciato questa frase così radicale, Matteo narra il miracolo della tempesta nel lago.

Matteo, in sostanza, svincola questo detto dalle norme per la sequela e per la missione. Una scelta che può sembrare strana. Per giunta, tralascia qualsiasi introduzione alla frase della persona che dice: “permettimi prima di andare a seppellire mio padre”. Una frase che non avrebbe alcun senso senza una precedente richiesta di Gesù. Ma Matteo non è preoccupato di rendere verosimile la frase e l’ha semplicemente riportata, incastonandola nel suo racconto. Certo, ora in Matteo la frase non è più nel contesto in cui si trovava nella raccolta dei detti Q ed è spostata fuori del contesto originario ormai perduto in cui Gesù l’aveva pronunciata.

Riassuminamo: sia Matteo che Luca considerano comunque questo detto come un detto che chiarisce quali siano le condizioni per poter diventare un discepolo di Gesù e così anche lo aveva inteso Q. Certo, non sappiamo se Gesù avesse pronunciato questi detti veramente in questo contesto esistenziale strutturale in cui Q Lc e Mt lo pongono, ma è abbastanza probabile che fosse così anche per il Gesù storico, perché questo detto porta con sé - interno al proprio contentuto - il contesto di riferimento per il quale è stato pronunciato. Non sappiamo però né dove, né quando Gesù abbia rivolto questo comando di non andare a seppellire il proprio padre. Non sappiamo chi fosse la persona a cui Gesù si rivolgeva, e non sappiamo se costui abbia poi obbedito o meno alla richiesta di Gesù.

3. Contesto giudaico biblico

Molti studi hanno cercato di comprendeere l’invito di Gesù a seguirlo rinunciando addirittura ad andare a seppellire il proprio padre nel contesto di alcuni racconti e concezioni delle sacre Scritture ebraiche (non uso l’espressione “Antico Testamento”, perché per Gesù un “Antico Testamento” non esisteva). Chi volesse trovare una prima introduzione a questi studi potrebbe leggere il commeno al vangelo di Luca di François Bovon.E’ probabile – scrive Bovon - che già qui, come avverrà certamente al v. 61, vi sia un riferimento alla richiesta di Eliseo di andare a dire addio al padre e alla madre”. Ma Elia permette ad Eliseo di accomiatarsi dalla famiglia:

 

Partito di lì, Elia trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. 20Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: "Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò". Elia disse: "Va' e torna, perché sai che cosa ho fatto per te". Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio (2 Re 19-21).

 

Un altro passo biblic che viene spesso ricordato come possibile sfondo alla richiesta radicale di Gesù è quello di Ezecchiele 24,15-24, dove al profeta viene ingiunto di non fare il pianto rituale per la morte della moglie:

 

Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Figlio dell'uomo ecco, io ti tolgo all'improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima. Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto". La mattina avevo parlato al popolo e la sera mia moglie morì. La mattina dopo feci come mi era stato comandato e la gente mi domandava: "Non vuoi spiegarci che cosa significa quello che tu fai?". Io risposi: "Il Signore mi ha parlato: Annunzia agli Israeliti: Così dice il Signore Dio: Ecco, io faccio profanare il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e amore delle vostre anime. I figli e le figlie che avete lasciato cadranno di spada. Voi farete come ho fatto io: non vi velerete fino alla bocca, non mangerete il pane del lutto. Avrete i vostri turbanti in capo e i sandali ai piedi: non farete il lamento e non piangerete: ma vi consumerete per le vostre iniquità e gemerete l'uno con l'altro. Ezechiele sarà per voi un segno: quando ciò avverrà, voi farete in tutto come ha fatto lui e saprete che io sono il Signore.

 

 

Infine, anche in Geremia 16,1-7 troviamo la rinuncia a partecipare alle cerimonie in onore di un morto – ma anche a prendere moglie e far figli - come segno profetico, della distruzione imminente.

 

Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Non prendere moglie, non aver figli né figlie in questo luogo, perché dice il Signore riguardo ai figli e alle figlie che nascono in questo luogo e riguardo alle madri che li partoriscono e ai padri che li generano in questo paese: Moriranno di malattie strazianti, non saranno rimpianti né sepolti, ma saranno come letame sulla terra. Periranno di spada e di fame; i loro cadaveri saranno pasto degli uccelli dell'aria e delle bestie della terra". Poiché così dice il Signore: "Non entrare in una casa dove si fa un banchetto funebre, non piangere con loro né commiserarli, perché io ho ritirato da questo popolo la mia pace - dice il Signore - la mia benevolenza e la mia compassione. Moriranno in questo paese grandi e piccoli; non saranno sepolti né si farà lamento per essi; nessuno si farà incisioni né si taglierà i capelli. Non si spezzerà il pane all'afflitto per consolarlo del morto e non gli si darà da bere il calice della consolazione per suo padre e per sua madre.

 

La lettura di questi brani è di estrema rilevanza.[5] Essi ci mostrano quanto sia errato pensare che Gesù con il comando di non andare a seppellire il ppriro padre - infrangesse la Torah, la legge biblica, e quindi si proclamasse ad essa superiore provocando un siperamento del giudaismo. Perché già in Geremia e in Ezechiele, l’invito a non rispettare le onoranze funebri necessarie e ben presente. E in Geremia ciò avviene con esplicito riferimento al padre e alla madre. Di fronte alla distruzione imminente anche queste pratiche fondamentali non hanno più senso.

 

 

4. Perché è necessaria la rottura con gli interessi famigliari, secondo Gesù?

 

Dobbiamo ora concentarsci sul detto di Gesù preso nella sua straordinaria radicalità. Da un lato gesù impone al futuro discepolo di non seppellire il padre apèpena morto, dall’altra definisce “morti” i familiari del futuro discepolo che si occuano della sepoltura del morto. Ambedue sono affermazioni terribili. Perché il rispetto del padre sarebbe in contsrto con il seguire Gesù? Ma anche la seconda implica un giudizio che si fatica a condividere. Perché mai i familiari di un discepolo di Gesù - che non seguono Gesù - sarebbero dei “morti”?

In sostanza questa frase ci appare impietosa, violenta e purificatrice. Il seguace è tale solo se ha messo in pratica un modo di vita radicale. Il punto fondamentale è che Gesù richiede una pratica di vita, non l’adesione ad un complesso di idee.

Il detto implica la necessià che il discepolo rompa con tutta la sua vita precedente e con tutto il mondo a cui appartiene. Vivere con Gesù significa ompere definitivamente con un modo di vita. La frase non è solo metaforica. Certo, qui risuona anche, ma non solo, il “Se non adesso quando?” di Hillel, il grande maestro giudaico della generazione appena precedente a quella di Gesù. Ma in Gesù non troviamo solo il tema del non rimandare la conversione è certamente implicito nel riiuto di Gesù di concedere una dilazione. Come Hillel, Gesù sa bene che la conversione o si decide subito o non avverrà mai. Ma nel detto di Gesù è implicito ben altro e cioè che il distacco, anzi la rottura con la famiglia, è comunque necessaria. Non si tratta di una scala di valori fra cose che sono ambedue buone. Il legame con gli interessi familiari va comnunque radicalmente interrotto.

Alla domanda che dobbiamo porci sul perché Gesù chieda al discepolo di non andare a seppelire il proprio padre, prima di seguire Gesù, la risposta è che gli interessi famigliari normalmente implicano un contrasto con gli intessi delle altre famiglie, implicano la politica delle alleanze fra pari, o i rapporti di clientela con i più forti politicamente. La logica del regno di Dio è completamente diversa, per Gesù. Ma per poter entrare nella logica del regno di Dio è necessario non essere solidali con alcun interesse privato, familiare, di gruppo lavorativo. E per esserne liberi c’è per Gesù un solo modo: rinunciare a possedere qualsiasi cosa, staccarsi dalla propria famiglia, non avere casa e non avere lavoro.

            Appartenere a Gesù non significa credere qualcosa di teologico e dogmatico o credere in un complesso di idee, perché credere non implica condividere la condizione di vita di Gesù. Si può seguire Gesù e appartenere a lui solo se se ne condivide la pratica di vita. Se non si condivide la sua vita radicale non si appartiene a Gesù e quindi si appartiene ad un altro mondo, quello dei “morti”. La condivisione di una vita radicale è una condizione necessaria. Il passaggio dal mondo dei morti al mondo dei vivi si ottiene solo in un modo: condividere la vita di Gesù.

La richiesta di Gesù è talmente esagerata che spesso l’interpretazione cristiana ha cercato di attenuarla, spiritualizzarla, intenderla in modo metaforico, in modo da evitare la sua difficilissima applicabilità nella vita concerta dei cristiani. Non era tollerabile intendere in modo letterale questa frase.

Il punto fondamentale di tutta l’interpretazione di questo detto sta dunque in questo. La fonte dei detti Q prima e poi Luca e Matteo hanno avuto il coraggio di trasmettere questo detto che mette chiaramente in risalto il bisogno di distaccarsi radicalmente dalla propria famiglia da parte del discepolo che vuole seguire Gesù. Interesse familiare e messaggio evangelico sono in contrasto.

Per potere comprendere il testo nella sua radicalità è necessario che l’interprete di oggi sia consapevole della distanza del proprio modo di vita e della propria teologia da quello di Gesù. Se invece l’interprete aderisce ad una interpretazione del cristianesimo che non riconosce questo punto fondamentale e che cioè il messaggio evangelico è in contrasto con la logica degli interessi familiari e degli interessi dei gruppi e delle istituzioni, anche religiose, allora l’interprete cercherà in ogni modo di attenuare il contrasto tra la propria famiglia e il seguire Gesù per non mettere in discussione il proprio modo di vita e le proprie istituzioni.

L’attenuazione delle parole e della pratica di vita di Gesù dipende dal fatto che l’interprete (sia esso un individuo o un’istituzione) da un lato cerca - più o meno consapevolmente - di difendere la propria situazione esistenziale dalla radicalità di Gesù e dall’altro pretende che la propria teologia e la propria istituzione religiosa sia fedele a lui, senza accorgersi della propria distanza e della propria differenza o senza ammetterla.

La richiesta radicale di Gesù di non andare a seppellire il proprio padre non risuona più nelle chiese cristiane, è pressoché assente nella predicazione cristiana per il semplice fatto che nessuna autorità ecclesiastica o leader religioso è fedele alla pratica di vita radicale di Gesù. Quale leader religioso, quale sacerdote può dire oggi ad un credente: non andare al funerale del padre e seguimi? Non lo può dire perché la sua vita non è una vita da seguire e non è affatto in alternativa a quella della famiglia del seguace. Nessun leader religioso cristiano di oggi vive in un modo da costituire una scelta radicale talmente alternativa a quella normale da poter chiedere addirittura ai suoi membri di non andare al funerale del proprio padre. Nessuno può dire: vieni con me invece di seppellire tuo padre, perché non vive una pratica di vita alternativa da proporre.

A questo punto, per non ammettere la distanza fra se stessi e il messaggio, si cerca di attenuare e trasformare il messaggio privandolo della sua radicalità. Subentra l’eliminazione del contrasto perché non c’è una alternativa, non c’è la presenza della vita radicale di Gesù. Se ci fosse la presenza di questo messaggio, ci sarebbe immediatamente la necessità del contrasto radicale con le forme normali di vita e coloro che si pretendono rappresentanti di Gesù anch’essi non sarebbero neppure andati al funerale del proprio padre.

Allo storico o all’esegeta, come è chi scrive queste righe, rimane il compito di riconoscere la distanza e la differenza culturale, esistenziale, religiosa tra sé e la pratica di vita di Gesù, nel tentativo di ricostruirla storicamente il più fedelmente possibile, nella sua lontananza e estraneità. Lo storico non vuole e non può imitarla. Ma essere onesto nel riconoscerla nella sua radicalità può e deve.

5. Chi non è discepolo di Gesù è un morto. Come si può comprendere una frase così dura

 

Come spiegare l’affermazione estrema di Gesù che chi non lo segue è un “morto”? Le spiegazioni che si possono presentare e sono state suggerite sono molte. Ne sintetizzo alcune.

            Per alcuni bisogna intendere l’espressione “i morti” solo in senso traslato. I “morti” sarebbero persone apparentemente vive che vivono una vita non vale la pena di vivere. Non si può, quindi, forzare troppo l’espressione “i morti” trasformandola indebitamente in un vero e proprio concetto teologico. Non sono d’accordo con questa intepretazione ch tende a svuotare di siognficato la frase di Gesù. Due sono invece le intepretatzioni a mio avviso più probaili, benché in alternativa l’una all’altra.

Anzitutto, se si pensa che l’espressione di Gesù sia da prendere in un senso religioso preciso e non metaforico, si potrebbe pensare che “ i morti” sono per Gesù coloro che pur essendo ancora vivi, sono però escatologicamente condannati alla morte perché nel giudizio universale Dio li condannerà alla distruzione (vedi ad esempio il discorso escatologico di Mt 25 dove i malvagi muoiono). Una seconda possibile soluzione sta forse nel suggerire che “i morti” siano quelli che non rinasceranno, che non hanno sperimentato la rinascita, secondo le concezioni che ritroviamo nel vangelo di Giovanni e nel vangelo di Tommaso. Vediamo queste due ipotesi una per una.

a) I morti escatologicamente. Nel Vangelo di Luca (13, 1-5) leggiamo:

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Il contesto immediato di queste frasi, presenti solo in Luca, si trova nel brano che minaccia la condanna escatoligica di Cafarnao e di Chorazin. In questa frase, ripetuta due volte, “morirete tutti allo stesso modo”, Gesù mette in connessione la mancanza della conversione con la morte che si sarà meritata al momento del giudizio finale che sta per verificarsi. Anche Cafarnao e Chorazin sono condannate nel giudizio. La morte è la punizione escatologica nel momento del giudizio. In questo senso, “i morti” sono quelli che, rifiutando l’invito alla conversione che viene da Gesù, sono già escatologicamente condannati. Sono proletticamente già morti. In questo senso, sembra risuonare qualche accento della prospettiva tutta concentrata sul futuro del brano di Ezechiele 24 sopra citato.

b) i morti sono quelli che non hanno sperimentato la nuova nascita nello spirito. Una seconda ipotesi è che “i morti” siano tali in quanto non hanno sperimentato la rinascita e non possono perciò entrare nel regno. Forse la fonte dei detti Q cui risale questa frase di Gesù riportata da Lc 9,60 e Mt 8,22 utilizza una tradizione che si ritrova anche nel Vangelo di Tommaso e in quello di Giovanni. Il fatto che la fonte dei detti di Q, di solito così diversa dal Vangelo di Tommaso e da quello di Giovanni abbia con loro un legame non è così strano perché la cosa avviene anche nel brano di Mt 11, 25-27 //Lc 10,21-22 vedi Tommaso 61,3b // Gv 13,3a; 10,15).

Sia Giovanni che Tommaso tendono ad abbandonare il concetto di regno di Dio e sostituirlo con qualcosa d’altro: la rinascita nello spirito (Gv 3); oppure la risurrezione; oppure il regno di Dio nell’interiorità dell’uomo come dominio e pace interiore (Tommaso 1 e 2), oppure il contatto soprannaturale con la potenza del Gesù celeste (la parabola della vite e dei tralci in Giovanni).

Qui la teoria gesuana originaria, secondo la quale non si gusterà la morte fino a quando non si vedrà il regno di Dio (Mc 9,1), viene trasformata nel senso che se si rimane nella parola di Gesù non si “gusta la morte” e non si entra nel regno. La morte in quanto tale ha in fondo poco significato perché comunque si deve risorgere. L’obiettivo non è quindi non morire, che è impossibile, ma è di vivere una vita eterna, fin da ora.

Per Giovanni, infatti, l’obiettivo principale è “entrare” nel regno, non assistere alla sua venuta:

Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5).

 

Il tema del “non gustare la morte” viene ripreso dagli ambienti giovannisti. Lo ritroviamo in Gv 8,51 (“inverità in verità vi dico, se uno custodisce la mia parola non vedrà la morte in eterno”) e in Tommaso 1 (“e disse se uno trova l’interpretazione di queste parole non gusterà la morte”).

Le conseguenze di questa idea gionnista e tommasaina è che è vivo di una vita eterna (non sperimenta, gusta la morte) solo chi rinasce. Se allora solo chi ha sperimentato la rinascita ora, non è “un morto” la conseguenza è che per questi ambienti di seguaci di Gesù di tendenza giovannista o rommasiana non si tratta più di condividere lo stile di vita radicale di Gesù, ma di rinascere dallo Spirito. La nascita dallo Spirito avviene alla fine di un’iniziazione per gradi. Ma le richieste di abbandonare famiglia, possedimenti, casa e lavoro sono assenti (del resto non se ne parla mai nel Vangelo di Giovanni). E tuttavia qualche elemento di questa interpretazione del vangelo di Giovanni e di Tommaso si potrebbe ritrovare nel Gesù storico. Forse, nella mente e nella esperienza di Gesù, che quindi potrebbe essere vicino, in questo, a Giovanni Battista, il battesimo (del Battezzatore, sperimentato da Gesù) introduce allo Spirito.

Il vangelo di Giovanni e quello di Tommaso hanno separato e autonomizzato la conquista della vita (che Gesù propone) dal distacco dalla famiglia, dal lavoro e da tutti i possedimenti (che Gesù assolutamente richiede) e hanno così reso la vita qualcosa che si può realizzare senza la sequela radicale di Gesù e per questo hanno smesso di trasmettere le esigenze radicali di Gesù che possiamo trovare solo in Luca, Matteo e Marco Ma senza queste richieste si perde anche la vita, si perde l’opposizione tra questa vita e quella degli altri che non seguono Gesù e si perde l’esigenza di una trasformazione radicale del mondo, insito nel messaggio del regno di Dio.

c. Cosa è vivere per Gesù. Ma in realtà a mio avviso le cose, forse, stanno diversamente da quanto propongono le due precedenti ipotesi. Ciò lo si capisce se ci si domanda: “cosa è la vita per Gesù”. Perché Gesù esige il distacco radicale da possedimenti, casa, famiglia e lavoro? La mia risposta è che la scelta di questa vita radicale ha lo scopo di permettere a Dio di intervenire. Vivere, per Gesù, signfica semplicemente essere vivi senza sottrarsi alla condizione di forza e debolezza che caratterizza semplicemente la vita nel suo aspetto elementare. Senza cercare di proteggere la vita ma semplicemente vivendola. Vivere per Gesù non consiste nel cercare il vestito e il cibo, non sta nella “preoccupazione” per la vita, ma nell’abbandonarsi alla vita. Consiste nell’esistere con il proprio semplice corpo abbandonato alla potenza di Dio.

Un punto riguarda la riflessione di Gesù sulle esigenze di tutti i giorni: «Non datevi pensiero perla vostra vita di quello che mangerete, per il vostro corpo come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito» (Lc 12,22-23). Egli pone allo stesso livello cibo e vestito. Anzi ritiene che la cura e l’attenzione al benessere fisico possa portare a stravolgere l’esistenza. Ma, in questa perorazione, il fattore dominante da difendere è la vita fisica. Gesù non trascura affatto il cibo e il vestito, né per sé, né

per gli altri. Raccomanda solo di cercarne il senso autentico. La sua aspirazione è che gli uomini si aspettino di essere vestiti come «i gigli del campo» che sono rivestiti dalla generosità di Dio con uno splendore superiore perfino a quello di Salomone(Lc 12,27). «Se dunque Dio veste così l’erba del campo [comeveste i gigli] ... quanto più voi, gente di poca fede».[6]

            Le richieste di Gesù di intraprendere una partica di vita radicale hanno allora la loro ragione nel permettere da un lato di cogliere la vita nella sua elementarità e dall’altra di potere entrare in contatto diretto con la potenza di Dio, avendo ormai abbandonato ogni progetto di autosostegno e autocostruzone.

 



[1] M.Hengel, Discepolato e Sequela, Brescia Paideia, 1990.

[2] Traduzione italiana: Claudio G. Montefiore, Gesù Cristo nel pensiero ebraico contemporaneo. Introduzione di Felice Momigliano, Genova, A.F.Formiggini, 1913.

[3] The Critical Edition of Q, (a cura di J.M.Robinson, P.Hoffmaann, J.S.Kloppenborg), Minneapolis-Leuven, Fortress Press-Peeters, 2000.

[4] F. Bovon, Vangelo di Luca. Volume 2, Brescia Paideia, 2007, pp. 54-55.

[5] Bovon, ivi, p.55.

[6] Rimando per questo a A.Destro-M.Pesce, L’uomo Gesù, Milano Mondadori, 2008, p.167.