Come un bambino di strada

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Mauro Pesce, “Come un bambino di strada” “Se non diventerete come i bambini” (Mt 18,1-5), Segno 35 (Novembre/dicembre 2009) n. 310, 45-55.

 

 

 

Se non diventerete come i bambini

non entrerete nel regno dei cieli

1. Gesù e i bambini

Il titolo di questo incontro riprende alla lettera un versetto del Vangelo di Matteo:

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo:

«Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino (in greco paidion), lo pose in mezzo a loro e disse:

«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.[i]

Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.

E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me (18,1-5).

In realtà, la traduzione italiana del testo di Matteo va spiegata e anche corretta in alcuni punti molto importanti: Regno dei cieli non significa il regno che sta in cielo o che Dio regna in cielo. Matteo, che non vuole pronunciare il nome di Dio, usa un sinonimo. Cielo vuole dire Dio. Perciò regno dei cieli non significa: il regno di Dio sarà solo nei cieli, ma che il cielo (cioè Dio) regna sulla terra. Per quanto riguarda le correzioni della traduzione, il testo della CEI dice: «Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino», in realtà il testo greco che è quello originale del Vangelo di Matteo dice: «chi umilierà se stesso» (il vero usato è tapeinoô). La farse quindi significa «rendersi “tapino”», farsi uguale a questo bambino che rappresenta una situazione sociale umile. Chi si renderà socialmente umile sarà il più grande nel regno che Dio verrà ad instaurare sulla terra.

            Poi al v.18,5 la traduzione italiana dice: «chi accoglie anche uno solo di questi bambini». In realtà il testo dice: «chi accoglie un bambino di questo tipo (en paidion toiouto)». Quindi tutto sta nel comprendere che tipo di bambino è quello di cui parla il Vangelo di Matteo.

           

            La tematica dei bambini ha un ruolo importante nella predicazione e nell’azione di Gesù. E questo si vede dal fatto che egli è attento a molti aspetti diversi della realtà dei bambini del suo tempo. Anzitutto una questione terminologica. Gesù è chiamato bambino (paidion) dal Vangelo di Matteo e dal Vangelo di Luca nei racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù (cf. ad esempio Mt 2,8.9.11.13.14.20.21). Questo significa che questi due vangeli usano il termine greco paidion per indicare quello che noi chiamiamo oggi un bambino, dal punto di vista dell’età. Quando invece vogliono dire “giovinetto” usano un altro termine, neaniskos.

            Enumero ora, uno dopo l’altro, i passi principali in cui i vangeli parlano dell’atteggiamento di Gesù rispetto ai bambini

a. Gesù mette nel mezzo un bambino: Mt 18,1-3; Mc 9,36-37; Lc 9,47-48. Ma, attenzione, i significati del detto di Gesù sono diversi secondo i tre vangeli.

b. Gesù accoglie bambini portati da altri Mt 19,13-15 // Mc 10,13-15. Qui si tratta di bambini portati dai genitori forse probabilmente perché sono malati affinché Gesù comunichi loro una forza guaritrice attraverso il contatto fisico con lui.

c. Gesù parla di banbini che giocano in piazza (Matt. 11:16 Lc 7,32). in questo caso si tratta probabilmente di bambini di strada. Il brano è assente in Marco.

d. Troviamo i bambini/ragazzi da soli, che fanno un corteo pieno di esaltazione attrono a Gesù a Gerusalemme (vedi Mt 21,16). Pitrebbe trattsi quibndi di ragazzi di strada.

e. Vediamo che nelle due moltiplicazioni di cibo (Vedi Marco 6 e 8) ci sono dei bambini insieme con le donne e gli uomini (ma è Matteo a dirlo: 14, 21; 15,38)

f. Gesù, secondio Giovanni dice che quando è nato un bambino (paidion) la madre si dimentica delle doglie (Gv 16,21)

g. Gesù resuscita una bambina (Mc 5,39-41) In questo caso non si tratta di un bambino di strada, ma di un figlio amato e curato dai genitori.

h. Gesù risuscita un giovinetto (neaniskos) Lc 7,14.

i. Gesù guarisce un bambino in Gv 4,51

l. Gesù guarisce la figlia della donna sirofenicia in Mc 7, 28-30

m. Gesù guarisce il figlio di un padrone Mc 9,21-24 Gv 4, 49

n. Gesù chciede ad un giovane ricco di diventare suo discepolo (Mt 19,20-22)

o. In una parabola gesù parla dei bambini che dormono nel letto con il proprio padre in una piaccola casa umile (Lc 11,7).

p. Gesù esclama che sono i lattanti a ricevere la rivelazione (Mt 11,25; Lc 10,21). Una parola che avrà grande risonanza, ad esempio nel Vangelo di Tommaso.

q. Gesù guarisce il giovane indemoniato

r. un giovinetto (neaniskos) fugge nudo durante l’arresto di Gesù (Mc 14,51)

s. bambini o schiavi mangiano a tavola e i cani ne raccolgono le briciole (Mc 7,28)

t. Gesù chiama bambini (paidia) i suoi discepoli nel capitolo 21 di Gv

Come si vede Gesù è attento ai diversi aspetti della vita dei bambini, dal parto, alla vita in famiglia, alla loro salute, all’importanza della loro presenza per la sussistenza di famiglie povere, al loro modo di vita concreto nelle case umili. Ma è anche molto attento ai bambini e ragazzi di strada abbandonati a se stessi e in povertà. I bambini sono i destinatari della rivelazione soprannaturale di Dio. Diventare come i bambini permette di entrare nel regno di Dio. Gesù tocca i bambini per guarirli e a volte riporta in vita bambini morti per malattia. Diversi aspetti sociali, famigliari e simbolici della realtà sociale concreta sono al cuore dell’attenzione di Gesù.           

            Nel Vangelo di Giovanni il tema dei bambini sembra invece meno importanrte che nei vangeli sinottici. La sensibilità di Paolo sembra poi abbastanza lontana da quella di Gesù. Mentre per Gesù sono i bambini a ricevere la rivelazione di Dio, in 1 Cor 3,1-4 essere lattanti (nepioi) è una condizione di immaturità spirituale. La rivelazione non è per i lattanti, ma per gli uomini adulti.

2. Cosa è il regno di Dio?

            Ha ancora un senso questa aspirazione nella cultura di oggi? Perché abbia senso è necessario ricuperare il significato originario di questa idea di Gesù. I cristiani di oggi spesso non aspettano più il regno di Dio. Per molti credenti di oggi il regno dei cieli è il paradiso, la felicità ultraterrena, nella quale si entrerà dopo la morte, oppure consiste nel ricevere da Gesù Cristo, le grazie, o la potenza che assicura di essere già ora nel regno di Dio. Ambedue queste interpretazioni non corrispondono a quello che Gesù pensava e sperava. La mia mamma e la mia nonna di Sorrento, mi hanno insegnato da bambino un padre nostro apocrifo che però ripecchia bene la fede cristiana forse prevalente. Questa versione apaocrifa diceva: “sia santificato il nome tuofa che io venga al regno tuo”. Tutto stava nell’arrivare dopo la morte al regno di Dio che esiste solo nei cieli. Ma Gesù dice il cohntrario: che Dio venga a regnare ora sulla terra.

Gesù predicava «dicendo che: è compiuto il tempo e si è avvicinato il regno di Dio; convertitevi e credete all’annuncio» (Mc 1,14). Il regno, però, sarebbe stato instaurato in futuro da Dio stesso, dopo il giudizio finale. Il grande rivolgimento del regno di Dio si sarebbe quindi verificato dopo una serie di eventi escatologici precedenti. Gesù non crede di avere il compito di realizzare il regno di Dio sulla terra. Deve solo aiutare gli uomini ad entrarvi. Invita alla conversione, sollecita a una obbedienza radicale alla volontà di Dio, in vista del regno che di lì a breve si realizzerà.[ii]

Certo, Gesù pensa che la potenza di Dio già si manifesta nelle sue guarigioni miracolose: «se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,29). Ma ciò non elimina il fatto che molte parole di Gesù presuppongono chiaramente che il regno è una realtà futura (Mt 16,19; 18,3-4; 19, 23-24 e molti altri). Spesso si è cercato di spiegare la contraddizione affermando che il regno è già presente, ma non ancora venuto.[iii] Anzi si è detto che questa compresenza di già e non ancora è l’essenza della fede del seguace di Gesù. Ma questo non risolve affatto il problema. Il regno di Dio è una trasformazione storica, sociale, politica e cosmica collettiva. Il fatto che Dio conceda o meno a Gesù dei poteri particolari di guarigione non sostituisce l’instaurazione del potere di Dio su tutta la storia.[iv]

Probabilmente Gesù pensava - come i profeti biblici (cfr. Is 60; 2,3-4; 25,6-9; 49,22-26; 51,4-5; 55,4-5; 56,3-8; 66,18-22; Zac8,20-23) - che, dopo il giudizio universale, sarebbe iniziato il regno di Dio, e tutte le genti (cioè i non-Giudei) si sarebbero convertite all’unico Dio. Dio, lui solo, avrebbe instaurato quel regno nel quale tutti i popoli della terra sarebbero entrati grazie alla loro conversione all’unico Dio. La sua predicazione doveva limitarsi solo «alle pecore perdute della casa di Israele» e ad esse soltanto dovevano indirizzarsi anche i Dodici (Mt 15,24; 10,6). Anzi, essi non dovevano neanche percorrere la stessa strada dei non-Giudei (i Gentili) ed entrare nella città dei Samaritani (Mt 10,5).[v]

3. Il quinto regno, Israele, e il Figlio dell’uomo

Per Gesù il regno di Dio è infatti il quinto regno previsto dal Libro di Daniele, quello che verrà dopo i quattro regni dei re dei popoli.[vi] Dopo il quarto regno, quello di ferro, il potere sarà dato

«al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbediranno» (Dan 7,27).[vii]

In questa concezione del regno di Dio il centro sta nell’idea che dopo il dominio dei gentili arriverà finalmente il regno di Israele che coincide essenzialmente con quello di Dio stesso.

Secondo questa concezione, all’avvento del regno di Dio e di Israele sono strettamente legati altri eventi:

- il giudizio finale su Israele e su tutta l’umanità,

- la conversione di tutti i popoli all’unico vero Dio,

- l’intervento della figura del Figlio dell’Uomo

- un regno terreno di durata difficile da definire,

- la risurrezione dei corpi di tutti gli uomini del passato averrà solo dopo questo regno messianaico terreno.[viii]

I vangeli non ci trasmettono molte parole di Gesù sui diversi eventi escatologici che dovrebbero essere collegati con l’avvento del regno di Dio. Quello che Gesù dice sulla fine è spesso oscuro (cfr. ad es. Mc 13,1-37). Ireneo ci trasmette delle parole di Gesù sul regno finale terreno i cui contenuti sono essenzialmente l’abbondanza prodigiosa di cibo e una pacificazione universale:

“ il Signore, a proposito di questi tempi, insegnava e diceva: Verranno giorni in cui nasceranno vigne, con diecimila viti ciascuna … Così pure un chicco di frumento darà diecimila spighe … anche gli altri frutti, semi, ed erbe saranno secondo queste proporzioni. Tutti gli animali che si nutrono di questi cibi che si prendono dalla terra saranno pacifici e in armonia tra loro. Essi saranno pienamente sottomessi agli uomini” (Contro le eresie, 5, 33,3).[ix]

Non pochi seguaci di Gesù nei primi due secoli condivideranno questa opinione dall’Apocalisse (Ap 20,3-7; 21,1-4.10.23-27; 22,1-5) a Giustino.[x] Ma la difficoltà di conciliare i diversi eventi e le diverse concezioni escatologiche non ci può fare dimenticare il punto centrale: l’avvento imminente del regno sta al cuore delle aspirazioni di Gesù e questo lo sappiamo perché la preghiera che egli ha insegnato: venga il tuo regno: he Dio venga a regnare sulla terra.

            Il regno di Dio è il luogo della giustizia e della trasformazione stessa della natura. Non ci possono entrare gli ingiusti. Non ci possono entrare i ricchi. C’ è solo posto per i poveri, i miti, i pacifici, per chi piange ora, per i perseguitati, per gli schiavi. Non per i persecutori, i ricchi, i violenti, gli stupratori, i mafiosi e i loro alleati. Gesù qui è inesorabile: il mondo è diviso in due e il mondo che verrà escluderà totalmente gli ingiusti. Essi non entreranno mai nel regno.

            E tuttavia c’è in Gesù anche un’altra affermazione: che Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti e fa sorgere il solo sui buoni e sui malvagi. E su questo comportamento di Dio Gesù pronuncia il suo precetto: Amate i vostri nemici.

            Da un lato quindi Gesù vuole annientare la contraddizione dell’ingiusstizia, dall’altra invece la vuole accettare. Da un lato propone uno sconvolgimento del mondo dall’altro lo lascia intatto com’è.[xi]

            Si ha l’impressione che Gesù vedesse la verità di ambedue queste visioni: quella della distruzione del male e quella della convivenza con esso. Può darsi che anche egli come tutti gli uomini vivesse la contraddizione, perché non esiste mortale che possa essere totalmente unificato e che non viva in contraddizione con se stesso. Oppure, più in profondità, dobbiamo dire che Gesù percepisse che agli occhi dell’uomo il comportamento di Dio appare insanabilmente contraddittorio e incomprensibile, perché - da un lato - Dio tollera il male e - dall’altro - lo annienta nel suo regno di giustizia.[xii]

            Una soluzione è quella offerta da un grande esegeta cattolico, Rudolph Schnackenburg: che distingue signoria da regno di Dio. In Gesù si manifesta solo la signoria di Dio, ma non il suo regno finale. Gesù, in vista del regno finale e futuro di Dio - un regno che verrà solo dopo la sua predicazione - in cui l’ingiustizia verrà annientata, annuncia il perdono e la misericordia di Dio, offre il perdono di Dio in vista dell’entrata nel regno. Offre l’ultima possibilità di conversione. Ma chi non si converte non entrerà nel regno. Il perdono di Dio non va semplicemente accettato, se ad esso non segue immediatamente la conversione concretata in atti precisi di giustizia e di misericordia. Come dice il Gesù del Vangelo di Matteo (18,32-35) nella parabola dello schiavo spietato:

«Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Schiavo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

E il Padrenostro è inequivocabile:

«Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi (al passato!) ai nostri debitori» Mt 6,12.

Ma come si entra allora nel regno, che tipo di conversione è richiesta, perchè diventare bambini sarebbe proprio questo tipo di conversione?

            Per Gesù il mondo è spaccato in due: vive in una contraddizione insanabile: o si sta da una parte o si sta dall’altra o si compie ingiustizia o si subisce ingiustizia o si è poveri o si è ricchi. Non c’è soluzione mediana, non c’è possibilità di fuga. Nel mondo come lo vede Gesù o si è grandi in potere o si è piccoli in potere. Chi ha potere non può entrare nel regno, nel regno entreranno solo quelli che dopo essere perdonati da Dio per i propri peccati passati, si fanno piccoli in potere. Se continuano ad esercitarlo non entreranno nel regno. Questa visione dicotomica della realtà che è tipica di Gesù è difficile da accettare.

            La conversione per Gesù significa un radicale rovesciamento della situazione di vita. Per questo la pratica concreta di vita in Gesù viene prima delle idee e del messaggio. Accettare il perdono di Dio significa mettere in atto un comportamento di vita che permetta a Dio di intervenire, significa smettere di agire al suo posto, comportarsi in modo da tale da accettare che sia egli a risolvere le contraddizioni del mondo, mettendosi però dalla parte di coloro che hanno bisogno che Dio intervenga per ottenere giustizia.

4. La frase di Matteo confrontata con gli altri detti di Gesù sui bambini e il regno di Dio

sia Matteo che Marco e Luca riportano due episodi distinti in cui Gesù parla del rapporto tra l’essere bambini e il regno di Dio. Vediamo i due episodi come ce li riportano questi tre vangeli:

Matteo

[18.1] In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». [18.2] Allora Gesù chiamò a sé un bambino, παιδον ·lo pose in mezzo a loro e disse: [18.3] «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. [18.4] Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. [18.5] E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.

[19.13] Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. [19.14] Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli». [19.15] E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.

Marco

[9.33] Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». [9.34] Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. [9.35] Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». [9.36] E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:[9.37] «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

[10.13] Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. [10.14] Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. [10.15] In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». [10.16] E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

Luca

[9.46] Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. [9.47] Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: [9.48] «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande».

[18.15] Gli presentavano anche i bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. [18.16] Allora Gesù li fece venire avanti e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. [18.17] In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà».

            Bisogna però notare subito la differnza tra Lc 9,46-48; Mc 9,33 da una parte e gli altri quattro detti dall’altra. In Lc 9,46-48; Mc 9,33 non c’è la connessione tra diventare bambini e enrtrere nel regno di Dio. In questi due brani si parla di persone che portano i bamnbini da gesù e dei diesciopli che cercano di impedirlo, ama gesù non dice in questo caso che per enrtarre nel regno di dio bisogna diventare i bambini.

            Dobbiamo concludere che nella trasmissione delle parole di Gesù prima della redazione dei vangeli sinottici esisteva una connessione tra essere o diventare bambini ed entrare nel regno, ma solo in alcuni detti. Esaminiamo questi quattro detti in dettaglio.

            La frase: «perché di questi è il regno di Dio» si trova identica in Mt 19,14; Mc 10,14; Lc 18,16. Però Mc (10, 14-15) e Lc (18,16-17) la uniscono immediatamente dopo alla frase: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso». Matteo invece questa frase non l’ha unita alla precedente, ma l’ha messa in bocca a Gesù nell’occasione in cui i discepoli discutono su chi sia il più grande di loro (situazione nella quale Mc e Lc non mettono questa parola di Gesù). In Mt però la frase è diversa. Invece di dire :

«chi non accoglie                                     il regno di Dio             come un bambino                         non entrerà in esso»

dice:

«se non vi convertirete e non diventerete                                     come i bambini                        non entrerete nel regno dei cieli.

 

Per Matteo non basta accogliere o ricevere: bisogna avere un atteggiamento non passivo, bisogna convertirsi e diventare il contrario di quello che si è: «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini». Il regno di Dio per Matteo è una palingenesi. Una una nuova nascita, la produzione di un nuovo essere.

            L’esame comparato dei tre brani di Luca 9.46-48; Marco 9,33-37; Matteo 18,1-5 mostra che Mc 9,33-37 presenta delle caratteristiche che non sono state riprese da Mt e da Lc. Mc presenta quattro elementi che non sono state ripresi da Mt e da Lc. E’ infatti solo Marco a dire che:

- quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». [9.34] Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro

- «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti».

- Gesù “abbraccia” i discepoli

- che Gesù aggiunge la frase “colui che mi ha mandato”

Ciò che Marco, invece, non ha rispetto a Mt e Mc: è l’opposizione più piccolo - più grande. A sua volta, Matteo ha introdotto, rispetto a Mc e Lc, la tematica del regno dei cieli:

- chi è il più grande nel regno dei cieli

- «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli

- sarà il più grande nel regno dei cieli.

Il testo perduto da cui dipendono Luca e Matteo probabilmente diceva solo

- sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande.

- allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:

            - chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande.

            Esaminiamo ora il Vangelo di Tommaso. In questo vangelo, la cui prima redazione è molto antica, il collegamento tra essere bambini e “entrare nel regno” appare chiaramente nel detto 22,

Gesù vide dei bimbi che succhiavano il latte. Disse ai suoi discepoli: "Questi bambini che prendono il latte assomigliano a coloro che entrano nel Regno". Gli domandarono: "Se noi saremo bambini, entreremo nel Regno?".

Ma anche il detto 4 sembra un riflessione sul rapporto tra Regno di Dio ed essere bambini perché per Tommaso regno di Dio e vita si identificano:

Gesù disse: "Un vecchio che nei suoi giorni non esiterà a interrogare un bimbo di sette giorni riguardo al luogo della vita, vivrà. Giacché molti primi saranno ultimi, e diverranno uno solo".

Nei detti 21 e 37 ritorna il tema che identifica essere disceòoli con essere bambini, e spogliarsi come bambini.

Maria domandò a Gesù: "A chi assomigliano i tuoi discepoli?". Egli rispose: "Sono simili a bambini che si intrattengono in un campo che non appartiene loro (21).

I suoi discepoli domandarono: "In che giorno ti manifesterai a noi e in che giorno ti vedremo?". Gesù rispose: "Quando vi spoglierete senza vergogna, quando deporrete i vostri abiti e li metterete sotto i vostri piedi, come fanno i bambini, e li calpesterete, allora vedrete il Figlio del Vivente senza alcun timore" (37).

In conclusione, in Tommaso c’è il tema della superiorità dell’essere bambini rispetto a quello di essere adulti o saggi perché la salvezza consiste nello scoprire di possedere in sé una vita, una luce, una conoscenza che sta dentro di sé, ma viene da altrove.

            L’idea dei bambini che ha, invece, Matteo è abbastanza diversa: diventare bambini significa abbassarsi socialmente, umiliarsi. Il verbo greco usato non lascia equivoci: il verbo tapeinoo risuona ancora nel nostro vocabolo “tapino”.

            Per comprendere i significato religioso di questa necessità di diventare tapini, di umiliarsi socialmebte, per piter entrare nel regno di Dio, è utile un confronto con un brano del profeta biblico Isaia. Il brano di Is 58,3-7 presenta una critica al comportamento religioso di coloro che nel giorno annuale del perdono dei peccati (Yom ha-kippurim) pensavano poter ottenere il perdono di Dio con un semplice rito di umiliazione corporea:

«Perché quando abbiamo digiunato tu non hai guardato?

……

Perché voi digiunate nel litigio e nella contesa

e percuotete con un pugno empio,

Che si spezzino le catene della malvagità

che si sciolgano i legami del giogo

che si lascino liberi gli oppressi

e che si infranga ogni sorta di giogo.

Non è forse questo? Che tu divida il tuo pane con chi ha fame

che tu porti a casa tua gli infelici senza asilo

che quando vedi uno nudo tu lo copra

e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne.

La traduzione greca della Bibbia, detta dei Settanta, esprime bene questo concetto con un gioco di parole tra il verbo tapeinoun (umiliarsi) e il sostantivo tapeinos (persona umile debole). Questo gioco di parole evidenzia la contraddizione tra il desiderio di umiliarsi (etepainosamen) e il colpire con pugni il sottoposto socialmente e il povero, il tapeinos. Rendersi realmente “tapini” - osserva Isaia - comporta l’eliminazione di quegli atti che rendono gli altri ‘tapini’, cioè umiliati socialmente.

            In sostanza per entrare nel regno bisogna rendersi tapini, e fra questi ci sono anche i bambini. Non è l’aspetto carino dei bambini che il Gesù di Matteo vuole sottolineare, non è il loro candore, la loro ingenuità, la loro semplicità, ma solo il loro essere in una condizione di inferiorità. Il bambino che Gesù mette in mezzo ai suoi discepoli è senza padre né madre un bambino da solo che sta per la strada. Gesù lo chiama e lo mette nel mezzo perché tutti possano guardarlo bene. Non è un bambino che stava cercando Gesù né un bambino che i gentitori hanno portato da lui. E’ uno che si trova lì, per strada, e Gesù mettendolo nel mezzo vuole che i discepoli lo guardino bene. Devono diventare come lui, impotenti, poveri e disastrati. Tradotto nel linguaggio di oggi: se non diventate come uno dei bambini di strada del Brasile, Come uno dei bambini costretti a fare la guerra in Africa, come uno dei bambini violentati dai pedofili non entrerete nel regno di Dio.

            Ma perché tanta violenza nelle parole di Gesù? Perché nel regno di Dio entreranno solo i poveri, gli afflitti, i pacifici, i miti, coloro che cercano la giustizia.

 


[i] Come è noto “regno dei cieli” è un modo didire del vangelo di Matteo che per eviatre di nominare Dio, sostsituisce alla parola “Dio” la parola “cieli”. Il significato della esporessione di Matteo “regno dei cieli” equivale dunque all’espressione “regno di Dio” che si rova negli altr vangeli e anche in Paolo. Non signfica da nessun unto di vista un regno che sta solo nei cieli e non sulla terra.

[ii] Nonostante le molteplici monografie e articoli pubblicati negli ultimi cinquanta anni, vorrei ricordare che un’ottima rappresentazione delle diverse interpretazioni dell’escatologia di Gesù si trova ancora in R. Schnackenburg, Gottes Herrschaft und Reich. Eine biblisch-theologische Studie, Freiburg, Herder, 1965 (4a edizione) (tr. it. Signoria e Regno di Dio, Bologna, Il Mulino, 1971). Vi sono libri che non tramontano e mi fa piacere ricordare un’opera che per me ha avuto un significato particolare quasi mezzo secolo fa. Schnackenburg pensava di trovare una soluzione nella distinzione tra Herrschaft e Reich Gottes, tra signoria e regno, e nell’attribuzione a Gesù soprattutto della funzione, prima dell’avvento del giudizio finale e del regno, dell’offerta del perdono.

[iii] Sul già e il non ancora del regno di Dio in Gesù cfr. G.Theissen-A.Merz, Il Gesù storico.Un Manuale, Brescia, Queriniana, 1985.

[iv] A meno che non si pensi che il regno di Dio consista nel potere che Gesù possiede o nel potere che ogni singolo uomo ha di regnare sul male in se stesso (come sembra pensare il Vangelo di Tommaso 3). Ma la predicazione di Gesù mantiene sempre l’idea di un rivolgimento storico e sociale radicale (cfr. le Beatitudini, soprattutto nella versione di Luca). Che gesù ritenga di avere da Dio un potere taumaturgico conferma la sua funzione di preparatore del regno futuro.

[v] Sull’ebraicità di Gesù: E.P.Sanders, Gesù e il Giudaismo, Genova, Marietti, 1995 (ed. or. Jesus and Judaism, SCM London,.

[vi] Questa è la seconda tesi-ipotesi di queste pagine. Con questa ipotesi vorrei spingere la riflessione a prendere una decisione circa il tipo di concezione a cui Gesù fa riferimento quando parla di regno di Dio. Nella ricerca attuale e passata sono state presentate diverse ipotesi (non ho qui intenzione di richiamare l’amplissimo dibattito, cito solo come esempio di opinione differente: M.Hengel - A.M.Schwemer (eds.),Königsherrschaft Gottes und himmlischer Kult im Judentum, Urchristentum und in der hellenistischen Welt, Mohr, Tübingen, 1991). A sembra più convincente fare appello al libro di Daniele perché esso offre una interpretazione dei rapporti tra Israele e la dominazione territoriale dei non-Giudei. In L’uomo Gesù, p.208 Adriana Destro ed io abbiamo ipotizzato «Gesù era un ebreo che rimase estraneo alle aspirazioni e ai modi di vita introdotti dalla romanizzazione. Di fronte alla potenza culturale di Roma fece appello all’elemento più intimo e più forte della sua cultura, cioè all’idea del potere assoluto del Dio giudaico e alla necessità che Dio regnasse prendendo possesso di tutta la terra».

[vii] E’ vero che nel Libro di Daniele vi sono diverse concezioni del regno di Dio. Daniele 1–6 parla dello schema dei quattro regni a cui succederà un regno di Dio terreno (Dan 2,44; cf. Dan 7). In Dan 4,25 sembra parlare di un regno di Dio di tipo diverso, un regno eterno che è superiore a qualsiasi regno umano. Infine, in 7-12 riappare lo schema dei quattro regni seguiti dal quinto regno terno che però è attribuito da Dio al Figlio dell’Uomo. Daniele quindi offre uno schema per interpretare il rapporto tra i gentili e Israele in cui finalmente Dio prenderà possesso della terra e offre al giudeo la speranza di un dominio universale senza fine. Daniele offre al lettore una visione degli ultimi tempi in cui venga finalmente risolta la contraddizione del dominio dei Gentili su Israele (che sembra smentire la verità del Dio di Israele). Anche il I Libro di Enoch presenta una visone dela storia finale, l’idea del regno di Dio e la funzione regale e/o messianica del Figlio dell’Uomo. Ma queste idee appaiono più disperse e meno unitariamente fuse in una chiare visione della storia universale. In 1 Enoch 1-36 (cosiddetto libro dei Vigilanti) si parla di Dio re in un periodo finale paradisiaco (9:4; 25:7; 12:3; 25:3–5; 27:3). Anche In 1 Enoch 84,42–90 Dio è re della terra oltre che di tutto l’universo. In 1 Enoch 90,20 abbiamo il giudizio finale di Dio, il trono di Dio nella terra di Israele e una trasformazione della terra che sembra implicare la risurrezione. Cf. anche 1 En. 93,1–10; 91,12–17). Infine nel Libro delle parabole il Signore degli Spiriti intronizza il Figlio dell’Uomo (68,1; 62,5; cf. 69,29), che ha funzione di messia, re, giudice e distruggerà tutti i re della terra (46,4–5; 48,4–5; 62–63). Mi sembra che, molto più del I Enoch il libro di Daniele offrisse un quadro generale per situare le speranze religiose di Israele in un contesto politico.

[viii]Nell’instaurazione di questo quinto regno una figura speciale - il Figlio dell’uomo - ha una funzione determinante: « ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo… il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dan 7,13-14). Ovviamente non bisogna pensare che Gesù dipenda dal Libro di Daniele o dal I libro di Enoch in modo servile, quasi citasse o ripetesse le teorie che vi trovava. Dobbiamo invece supporre che egli rielaborasse in modo creativo quelle idee. La stessa centralità assoluta del concetto di regno di dio potrebbe essere in qualche modo sua. Altrove ho ipotizzato che egli rileggesse il concetto di regno di Dio alla luce della concezioni del giubileo levitico, senza trascurare l’influsso che le idee della sovranità orientale poteva esercitare su di lui.

[ix] M.Pesce, Le parole dimenticate di Gesù, Milano, Lorenzo Valla, 2004, 309.705

[x]Giustino crede in un periodo di «mille anni in una Gerusalemme ricostruita», Dialogo con Trifone, 80,5. Cfr. Philippe Bobichon, Justin Martyr. Dialogue avec Thryphon. Édition critique, traduction, commentaire, 2 voll., Fribourg, Academic Press Fribourg, 2003, pp. 965-68. Anche gli ebioniti attendevano un regno millenario e così pure un personaggio come Cerinto, di cui ci parlano varie testimonianze cristiane.

[xi] Ai cristiani qualche volta è piaciuto di più il secondo messaggio, quello che lascia le cose come sono e invita i deboli ad amare i propri nemici lasciandoli nel loro posto di potere di violenza e di ingiustizia. Una situazione che spinge poi le chiese ad allearsi politicamente con questi ultimi che ovviamente detengono il potere, lasciando l’assistenza ai poveri e ai deboli ad un settore di cristiani che lo vogliano fare, senza però che vengano intaccati i rapporti reali di potere.

[xii] Una certa teologia a volte ha un problema rispetto a queste contraddizioni di Gesù se non riconosce la piena umanità di Gesù, affermata dal dogma che dichiara Gesù perfettamente uomo.