La fine dell'era Costantiniana" di M.D.Chenu, 50 anni dopo il Concilio Vaticano II

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Dalla fine del Concilio Vaticano II (1965) ad oggi, alcune interpretazioni teologiche si sono combattute all'interno del cattolicesimo: una tendenza sosteneva che il Vaticano II avesse proposto alla chiesa cattolica alcuni elementi di forte discontinuità col passato per un rinnovamento di molti punti della vita della chiesa, mentre un'altra tendenza, conservatrice, ha teso a sostenere che in realtà il Concilio Vaticano II era soprattutto in continuità col passato e che perciò le tendenze innovatrici che si erano manifestate dopo il Concilio non erano realmente giustificate dai testi del Concilio Vaticano II stesso che, invece, va interpretato alla luce della tradizione precedente, tradizione che va quindi difesa e ricuperata anche per l'oggi.

            In realtà, una serie non piccola di teologi che furono artefici dei documenti del Concilio Vaticano II aveva già indicato una strada per risolvere la contraddizione tra pretesa cattolica della continuità e esigenza di riforma: aveva fatto ricorso alla teoria del ritorno alle fonti del cristianesimo per ispirarsi alla grande chiesa antica aldilà delle deformazioni della teologia controversistica e scolastica dei secoli XVI-XIX.

Tutto questo rimarrebbe vago e astratto se non facessimo alcuni esempi. Per la tendenza che vede nel Concilio Vaticano II la proposta di mutamenti fondamentali, i punti d'innovazione di questo concilio sono, ad esempio:

-       La cosiddetta rivoluzione copernicana dell'ecclesiologia, per la quale la chiesa si basa sul popolo di Dio più che sui vertici gerarchici.

-       La riscoperta del sacerdozio universale dei fedeli affermata dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium (ma come valutare questa precisazione teologica così importante? In che modo il sacerdozio universale dei fedeli può concretarsi visto che il Concilio ribadisce certo anche la dottrina cattolica del sacerdozio ministeriale?).

-       L'ecumenismo. La riunione con le altre chiese sembrava essere concepita nel Decreto sull'ecumenismo, non più come un ritorno delle altre chiese alla chiesa cattolica, ma come un possibile processo di collettiva riforma e ritorno all'essenza del cristianesimo da parte di tutte le varie chiese, compresa quella cattolica. La teoria della gerarchia delle verità teologiche avrebbe potuto permettere questo percorso di reciproco riavvicinamento inteso come riavvicinamento al nucleo dogmatico cristologico, quello della fede in Gesù Cristo, verità fondamentale e primaria.

-       La riforma della liturgia, intesa non solo come riforma dei riti fondamentali a partire dalla messa in lingua volgare, ma soprattutto come riconoscimento che il centro della chiesa è l'eucaristia nella celebrazione comunitaria e non i suoi vertici gerarchici massimi, ad esempio il pontefice Romano. Il cristo eucaristico è il cuore della chiesa non il papa come vertice istituzionale gerarchico.

-       Una rivoluzione storica dei rapporti tra chiesa e società, come viene proposta dalla costituzione pastorale Gaudium et Spes. Il punto fondamentale di questo rinnovamento sarebbe nel porsi della chiesa non come un potere accanto ai poteri statali, secondo, ad esempio, un'antica visione bellarminiana della potestà indiretta "in temporalibus", ma come un fermento radicale evangelico nella società. Ma come mettere in pratica questa visione? Per essere fedeli a Gesù, privo di potere e anzi volontariamente disposto a sottoporsi senza resistenza ai nemici e alla violenza del potere politico, la chiesa non dovrebbe forse rinunciare a porsi come un potere accanto ad altri poteri? Non bisognerebbe rinunciare allo Stato Città del Vaticano e alla diplomazia vaticana che ha rapporti con gli Stati del pianeta? Non bisognerebbe rinunciare ai rapporti concordatari con gli Stati, impostando il rapporto sulla base di una testimonianza anche povera, senza potere, piccolo seme che muore per provocare nel futuro escatologico la grande potenza del regno di Dio? Regno la cui nascita e sviluppo sono affidati solo all'intervento imprevedibile di Dio?

Lo storico deve constatare che l'attuazione e la ricezione del Concilio Vaticano II, durata quasi mezzo secolo, viene diversamente valutata oggi. L'interpretazione conservatrice,[1] infatti, ha una visione molto differente da quella appena descritta: il Concilio avrebbe soprattutto ribadito ciò che la tradizione aveva sempre affermato. Come scrive, ad esempio, Roberto Sani[2]

Benedetto XVI, nel discorso rivolto il 22 dicembre 2005 ai membri della Curia romana in occasione del tradizionale incontro per lo scambio degli auguri di Natale [...] ha posto l'accento sugli ostacoli e sulle difficoltà che la ricezione del Vaticano II ha incontrato in questi quarant'anni, fornendo una sua lettura di tale complessa e controversa stagione della vita della Chiesa. Nessuno può negare - ha affermato Benedetto XVI- che, in vaste parti della Chiesa, la ricezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea. Egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l'altro: «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l'uno contro l'altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede». Non vogliamo applicare questa descrizione drammatica - continuava papa Ratzinger - alla situazione del dopoconcilio, ma qualcosa tuttavia di quanto è avvenuto vi si riflette. Emerge la domanda: perché la ricezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o - come diremmo oggi - dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione.

E aggiungeva il pontefice: ‘I problemi della ricezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare ermeneutica della discontinuità e della rottura [...]. Dall'altra parte c'è l'ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa [...], un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso [...]. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie e ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti.

 

La Congregazione per la dottrina delle fede nel giugno del 2007[3] in una risposta ad un quesito che riguarda proprio questa questione così si è espressa:

 

Primo quesito: Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa? Risposta: Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né, di fatto, ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente. Proprio questo affermò con estrema chiarezza Giovanni XXIII all'inizio del Concilio.[4] Paolo VI lo ribadì[5] e così si espresse nell'atto di promulgazione della Costituzione Lumen gentium: "E migliore commento sembra non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Ciò che era, resta. Ciò che la Chiesa per secoli insegnò, noi insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione".[6] I Vescovi ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione.[7]

Una tesi di questo tipo, espressa dalla Sede Romana, esprime una volontà di negazione di ogni capacità di innovazione e critica del Concilio nella storia della chiesa di Roma. La chiesa cattolica pretende di stare immobile nella storia, affermando di se stessa di essere in possesso di assoluta verità. Purtroppo questo testo esprime una tendenza molto diffusa in certi settori dominanti del cattolicesimo odierno. La chiesa non ha bisogno di riforma, la chiesa rappresenta una verità che le serve di criterio di giudizio non solo sulla realtà storica del mondo ma sulla stessa Bibbia che la sola chiesa può interpretare correttamente. Con ciò si corre il pericolo di togliere alla ricerca biblica la capacità di presentare degli stimoli di riforma per la teologia e gli assetti istituzionali della chiesa cattolica in quanto essi, per definizione, sarebbero la più adeguata realizzazione del messaggio biblico.

Tuttavia, l'impatto di un concilio durato diversi anni con una partecipazione così imponente di vescovi di tutte le parti del mondo non può essere valutato solo sulla base di una interpretazione, di una ermeneutica, di una serie di criteri interpretativi. La sua rilevanza storica va valutata sulla base del modo con cui esso ha di fatto influito sulla vita della chiesa e delle realtà che essa influenza. La chiesa cattolica è un organismo complesso e variegato che si estende in ogni parte del mondo. Il modo con cui il Concilio ha inciso nella vita concreta di questi cinquanta anni varia quindi molto da continente a continente, da regione a regione. Sarebbe, inoltre, non solo un errore, ma anche una grande ingenuità pensare agli effetti del Vaticano II riflettendo soltanto sulla realtà italiana.

Un evento così importante non incide nella società semplicemente come un insieme di testi o di definizioni dogmatiche, innovative o tradizionali che esse siano. Influisce per i processi collettivi e per le pratiche concrete che in un modo o in un altro ad esso si ricollegano in quanto esso è un evento, un complesso processo, capace di suscitare speranze e reazioni ma anche contro-reazioni, capace di mettere in moto dinamiche che poi esistono di per sé. Un solo esempio. Dopo il Concilio si moltiplicano le conferenze episcopali nazionali e regionali. E queste istituzioni mettono in atto processi, azioni, decisioni, modi di relazioni. Queste bisogna concretamente studiare ed esaminare. Un concilio crea, e a sua volta subisce, il contesto di un momento storico tutto particolare che esso stesso ha continuato a modificare. In questo momento storico si liberano delle dinamiche che certamente si collegano ad esso in modo assolutamente inscindibile, ma ne sono anche indipendenti.

            Per una valutazione dell'impatto del Concilio Vaticano II, rimando all'opera di uno storico di grande serietà: Giovanni Miccoli e in particolare a due suoi libri: In difesa della fede. La Chiesa da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, Milano, Rizzoli 2007; La Chiesa dell'anticoncilio. I tradizionalisti alla riconquista di Roma, Bari-Roma, Laterza 2011, ma anche a quelli di Daniele Menozzi.[8] Sarà poi necessario valutare, sempre dal punto di vista strettamente storico, il rapporto tra Concilio di Trento e Concilio Vaticano II. Uno storico dell'età moderna come Paolo Prodi ha sostenuto a volte che il tridentinismo ha continuato ad influire nella storia della chiesa fino ad oggi nonostante il Vaticano II. È importante il suo libro: Il paradigma tridentino. Un'epoca della storia della Chiesa, Brescia, Morcelliana, 2010.[9]

            La storia del Concilio Vaticano II e della sua ricezione è stata studiata analiticamente in Italia, con una straordinaria mole di studi che non ha pari, da Giuseppe Alberigo, il cui contributo storico è internazionalmente riconosciuto e premiato da prestigiose università. Egli ha per anni diretto équipes di ricerca che hanno raccolto i documenti storici e li hanno analizzati e hanno prodotto numerose monografie di alto livello scientifico. I suoi allievi hanno continuato la sua opera di ricerca sul Concilio Vaticano II. E' da questi studi che bisogna partire per un'analisi storica adeguata.[10]

 

2. La fine dell'era costantiniana di M.D.Chenu[11]

Per comprendere quali speranze si scatenarono all'epoca del Concilio, dentro e intorno ad esso, ho pensato di rileggere un celebre articolo del domenicano Marie-Dominique Chenu, che fu storico della teologia e docente all'istituto teologico domenicano francese Le Saulchoir, nonché teologo al Vaticano II. Il saggio porta il titolo: La fine dell'età costantiniana. Delinea la natura di questa lunga età della chiesa, segnala i sintomi da tempo presenti della sua crisi e sogna che il sistema ecclesiastico costantiniano sia sostituito da una nuova sintesi cristiana adeguata ai nostri tempi e profondamente e radicalmente fondata su un più autentico messaggio evangelico.[12] Per Chenu, l'era costantiniana - che inizia ai tempi dell'imperatore Costantino e quindi nel IV secolo, e di cui si manifesterebbero i sintomi della crisi alla metà del XX secolo - abbraccia un periodo di tempo enorme, qualcosa come 15-16 secoli. In realtà, Chenu dice chiaramente che non si tratta di «un periodo storico determinato», quanto piuttosto di «un complesso mentale e istituzionale nelle strutture, nei comportamenti e perfino della spiritualità della chiesa e questo non solo di fatto, ma come ideale».[13] «Tanto la controriforma del Concilio di Trento quanto l'ideale del Rinascimento contribuirono a irrigidirne le forme in una costruzione giuridica più difensiva che creatrice».[14] Ma il paradigma del cristianesimo costantiniano non rappresenta il cristianesimo in quanto tale, ma solo una sua forma, per di più tipicamente ‘occidentale', la forma della cristianità occidentale che Chenu definisce «un tempo sociologico e non soltanto cronologico».

Non si tratta di verità di fede, di dogmi e neppure di dottrina generale, ma, psicologicamente ad una maggiore profondità, dell'inserimento della Chiesa in un mondo decisamente nuovo, in un altro tipo di civiltà, se è vero che il cristianesimo comporta sostanzialmente un inserimento nel mondo e se questo inserimento non è un incidente marginale, ma la legge stessa della sua incarnazione e la ‘condizione' della sua esistenza, il problema della cristianità stabilita, il problema stesso del concilio si pone in un mondo che non è stato ancora battezzato, che indubbiamente presenta al battesimo impreviste opposizioni. L'era costantiniana non volge alla fine? La Riforma e di fronte a essa il Concilio di Trento, il Rinascimento con la sua cultura classica e la Rivoluzione Francese, non sarebbero che episodi, episodi dei ‘tempi moderni' come si suol dire, di fronte al cambiamento ben altrimenti profondo che si prepara, per le dimensioni cosmiche di una nuova civiltà che non misura più le sue ambizioni sulle risorse ideali dell'Occidente, né alla stregua dei suoi rinascimenti.[15]

«Gli elementi costituitivi dell'era costantiniana» sono per Chenu:

  1. «l'alleanza» tra il potere spirituale e il potere temporale[16]
  2. «La base culturale» che consiste sostanzialmente:

-      in primo luogo nell'assimilazione del diritto romano,

-      in secondo luogo nel primato della ragione sulle altre forme della vita dello spirito.

  1. «La concezione dell'uomo», costituita sostanzialmente da:

-      «l'inclinazione a definire l'uomo in base alla sua natura»[17] e non tanto alle culture nella loro pluralità.

-      «la nozione non meno idealistica della persona»,[18]

-      «il dualismo della materia e dello spirito», «non completamente in accordo con l'antropologia biblica».

  1. «Il regime economico sociale, che organizza il contenuto quotidiano della vita individuale e collettiva».[19]

Scrive Chenu:

In breve, si identificava, e si identifica ancora nella retorica corrente, la civiltà dell'era costantiniana con la ‘civiltà cristiana'. Realtà e mito sono tuttavia contestati, sia perché parecchi suoi elementi costitutivi intralciarono il Vangelo e restarono non-cristiani, sia perché altre civiltà non sono a priori inadatte a diventare terre umane della grazia.

            Del contenuto dell'era costantiniana, alcuni elementi sono decisamene buoni e esemplari; ma altri sono da tempo caduti, soprattutto nel campo dell'attribuzione di un carattere sacro alle forme sociali e politiche che diventano così il braccio secolare della Chiesa. Altri stanno scomparendo, là dove la Chiesa, per amore o per forza, è privata della sua funzione di potenza politica e anche di incarichi sociali e culturali, un tempo propizi per la sua influenza. Altri infine sussistono, validi nella congiuntura presente, ma o non sono ancora completamente liberati da contesti compromettenti, o non sono in grado di corrispondere alla cattolicità della Chiesa, soprattutto in materia di cultura e di umanesimo.

            La scossa psicologica del concilio porta a una presa di coscienza che bisogna condurre a maturità in tutto il popolo cristiano.

            L'era costantiniana ci ha dato la magnifica riuscita di una ‘cristianità'. Ma cristianità non è Chiesa: è certo una distinzione che è difficile applicare nelle sue frontiere dottrinali e istituzionali, ma che è urgente fare, in un mondo le cui dimensioni umane oltrepassano da ogni parte i confini dell'Occidente e la cui storia ci conduce decisamente fuori della cristianizzazione di Costantino.

            Una cristianità non è la Chiesa, è un organizzazione in sé temporale, che comporta tutto quello che fanno i cristiani sulla terra, partendo dalla grazia, per realizzare nell'umanità la trasformazione delle sue condizioni di vita, individuale e collettiva, morale e culturale, necessarie allo sviluppo di questa grazia. Si tratta dunque di una materia mutevole e contingente posta sotto il solo assoluto della Parola di Dio, che si può esprimere, testimoniare, introdurre e incarnare in altre comunità umane, nelle quali l'identica natura umana è modificata nelle sue condizioni materiali e spirituali nella sua storia oggi accelerata. L'incarnazione continua.

L'era costantiniana volge al termine, per Chenu, in base a due serie di fattori fra loro opposti. Da un lato stanno le forze contrarie al cristianesimo che combattono l'assetto costantiniano, dall'altro stanno invece forme religiose cristiane autentiche che ritornano alle sorgenti della vita cristiana.

3. I quattro fattori che porterebbero alla fine dell'era costantiniana e a una nuova incarnazione del cristianesimo nella civiltà umana

I fattori interni alla chiesa che porterebbero alla fine dell'era costantiniana sono: «il risveglio del Vangelo», «il primato della parola di Dio», «una chiesa missionaria», «i poveri ascoltano la parola di Dio».

            Il risveglio del Vangelo. La chiesa, secondo Chenu. vive di vangelo, non di diritto romano e nemmeno di filosofia aristotelica o di cultura liberale.[20] Esistono però nella storia «certi momenti» in cui «la sensibilità al vangelo è rinnovata». Sono perfettamente d'accordo con Chenu nel pensare che «certi momenti» siano occasioni storiche brevi intense, straordinarie, Non è un'osservazione secondaria, ma è anzi forse una delle intuizioni più importanti di tutto questo saggio di Chenu. Esistono momenti storici particolari caratterizzati da una grande creatività e disponibilità di molte persone a cambiare vita, a innovare, a rendersi disponili per progetti entusiasmanti e impegnativi. Il mio maestro di storia della Chiesa e di storia moderna, il prof. Giuseppe Alberigo, li chiamava "periodi di accelerazione storica", brevi stagioni nelle quali, nell'arco di pochi giorni e mesi possono essere messi in atto cambianti sostanziali che determineranno poi la vita associata per decenni se non per secoli. Lutero, dal punto di vista dell'uomo di fede, parlava di questo, quando diceva che la Parola di Dio è come la pioggia: per un po' scende e poi cessa. Devi coglierla quando c'è. Questi momenti storici - non solo per l'aspetto religioso, ma anche per quello politico, sociale o culturale-scientifico - si verificano raramente. Ho proposto qualche anno fa di considerare gli anni che vanno dal 1609 al 1616 come un periodo di primavera della Controriforma in cui sarebbe stato possibile un diverso assetto dei rapporti tra scienza e teologia e tra istituzioni culturali e istituzioni ecclesiastiche, ma la condanna del copernicanesimo da parte della Congregazione dell'Indice del febbraio del 1616 mise fine a questa possibilità.[21] Si imboccarono strade diverse. Chenu parla di Francesco di Assisi, di Lutero e della riforma e dell'esito purtroppo drammatico della scissione che impedì un rinnovamento. Poi parla di due strade diverse, dopo la rivoluzione francese: quella della restaurazione in cui le chiese scelsero la strada di un ordine religioso politico che poteva invece essere mutato e quella opposta di Lacordaire che, "in piena restaurazione aveva deciso la rottura con le tradizioni conservatrici dell'Ancien Régime".[22]

In sostanza, non si può isolare il Concilio Vaticano II dal «momento» di grandissima effervescenza religiosa che caratterizzò un tempo di qualche anno a partire dalla convocazione del concilio nel 1959. In quel tempo religioso, presero forma diverse esperienze, accanto, all'interno, al di fuori dell'organizzazione e svolgimento del Concilio in ispirazione a quanto avveniva per la sua preparazione e celebrazione. Tra l'altro nacquero o furono in gestazione, ad esempio, movimenti religiosi, ma anche correnti di pensiero, singole personalità, iniziative di piccoli gruppi pullularono in ogni parte del mondo cattolico.

Un secondo fattore interno alla chiesa che potrebbe portare alla fine dell'era costantiniana è quello che Chenu chiama «Il primato della parola di Dio».[23]

Si tratta certamente dell'affermazione più ovvia di Chenu, ma a ben vedere la punta della sua tesi non è così ovvia perché sta nell'esigenza che la Parola di Dio abbia una forza trasformatrice della realtà della chiesa che deve rinnovarsi in base ad essa. Si può fare un bilancio oggi per misurare fino a che punto questa aspirazione di Chenu si sia realizzata? Forse è questo l'unico ambito su cui possiedo una qualche competenza.[24] A me sembra che i testi conciliari e la loro applicazione abbiamo certamente messo in atto in cinquanta anni un processo di profondo rinnovamento e trasformazione. Ma ad un certo momento questo processo si è fermato e ha dato luogo ad una involuzione. La Bibbia, tradotta e letta in Volgare, è divenuta centro della vita liturgica, della formazione dei bambini e degli adulti, della preghiera del clero e del laicato e anima della vita spirituale. Ma, proprio per questo, ben resto le autorità ecclesiastiche hanno percepito che l'esegesi scientifica della Bibbia praticata nelle Università e nelle Facoltà teologiche costituiva un pericolo. Non essendo per sua natura finalizzata alla pastorale, l'esegesi scientifica poneva troppi problemi al laicato, considerato, ahimé, come un insieme di persone di secondo livello e non in grado di giudicare autonomamente. Cominciò, quindi, una sistematica messa in discussione dell'esegesi storica a favore di un'esegesi spirituale, pastorale e sostanzialmente usata per convalidare gli assetti dottrinali e istituzionali della chiesa. Veniva così a perdersi tendenzialmente la possibilità di una trascendenza della Bibbia rispetto alla chiesa gerarchica che della Bibbia tornava a essere, la vera unica interprete. Come nell'età tridentina, la Bibbia diveniva tendenzialmente una regione sottomessa alla teologia. Il vero e proprio terrore che certi ambienti ecclesiastici italiani hanno delle ricerche sul Gesù storico è basata in certa parte sul timore che la riscoperta della figura storica di Gesù possa portare a una qualche riforma della pratica di vita, della teologia e degli assetti istituzionali della chiesa.

Il terzo fattore per una futura presenza della chiesa nel mondo dovrebbe essere, per Chenu, «Una chiesa missionaria». Ma cosa significa una nuova forma di missione nella nuova civiltà che si sta delineando?

Fondare una chiesa non significa organizzare anzitutto dei quadri e dei mezzi temporali d'influenza, se non di potenza; significa testimoniare la parola di Dio, nell'amore fraterno. Non si tratta per la Chiesa di costruire un mondo cristiano a fianco del ‘mondo', ma di rendere cristiano il mondo così come si costruisce, come sta costruendosi in questo straordinario XX secolo. Sento dire: Ah! Se il mondo si costruisse meglio si potrebbe fare qualcosa'. Ma no! È il mondo così com'è al quale siete stati mandati, che Cristo ha amato e per il quale è morto.

            Nella dialettica apostolica della missione e dell'istituzione, non bisogna affatto svalutare né respingere sconsideratamente le istituzioni, le ‘opere', le organizzazioni benefiche che hanno favorito il contatto umano, e che sono, di fatto, il sostegno delle testimonianze evangeliche. Doveva la Chiesa rifiutare i favori di Costantino? Ma il missionario avverte il rischio incombente di legarsi a questi vantaggi, a questa potenza e di essere indotto d'ora in poi a lottare per l'espansione, la conservazione o la riconquista del suo prestigio, della sua autorità.

            Su questo punto, a proposito di questo ricorso e di questo beneficio dei mezzi temporali, l'unione tra evangelizzazione e colonizzazione, nel secolo scorso, ci lascia, con il riconoscimento di ammirabili ed efficaci imprese, una dura lezione, che ci impedisce di parlare sommariamente di una ‘occasione provvidenziale'. La provvidenza è oggi nella presa di coscienza di questi popoli e nella loro liberazione, come essi dicono. Las Casas e Vitoria, nel contesto del loro tempo, avevano già proclamato la legge evangelica e definito la teologia missionaria contro le imprese dei conquistatori spagnoli in America.

Oggi, del resto intere zone della vita umana, e non soltanto il potere politico dei re, perdono il carattere di cosa sacra, escono da quella cristianità sacrale che la religione di Costantino aveva inaugurato. Indubbiamente questo era potuto accadere e accade ancora in condizioni inaccettabili, ma sotto queste spiacevoli incidenze, vi è una verità della storia umana in cui le civiltà - e oggi su vasta scala la civiltà scientifica e tecnica - indicano il loro progresso assumendosi progressivamente i bisogni materiali e morali delle comunità terrestri ai quali la Chiesa aveva per molto tempo provveduto in loro sostituzione.

Il quarto fattore che dovrebbe caratterizzare la nuova chiesa è che «i poveri ascoltano la parola di Dio». Per Chenu,

senza dubbio questi poveri non hanno né procurano credito e ancor meno potenza; e la società ecclesiastica non sfugge alle preoccupazioni delle istituzioni terrene che i ricchi sono in grado di sostenere.

            Ma l'istinto evangelico, nei momenti critici, rinnova le sue esigenze e, rifiutando posizioni troppo sicure, s'impegna in iniziative sconcertanti per gli amministratori e i politici. I ‘mezzi poveri' (J.Maritain) sono la prima via per penetrare nelle terre nuove dell'umanità. Il resto verrà dopo.

            Precisamente i poveri, perché vivono nell'insicurezza economica e culturale, spirituale, sono quelli che mettono in causa l'ordine stabilito, nel quale si è installata la cristianità; la loro stessa speranza mette in causa quest'ordine e questa cristianità. L'Apostolo, sulla scia dei profeti dell'Antico Testamento che annunciavano la venuta del Messia, vede in tutto questo, attraverso gli equivoci e i disordini, nel ‘combattimento per la giustizia' (come diceva Las Casas ai suoi superiori esitanti), una premessa favorevole al Vangelo.

Questa non è una posizione costantiniana; e l'ordine romano non ha torto nel controllare questi profetismi, in cui la speranza del Regno di Dio e le speranze terrestri di un mondo fraterno si congiungono in maniera sottile e ambigua. Ma in questo periodo in cui due uomini su tre hanno fame e fanno della loro miseria economica la molla della loro speranza, la Chiesa non può non lasciarsi prendere dal fremito del Vangelo. Il mito di Costantino lascia il posto, come nel XIII secolo presso gli ordini mendicanti, al mito della comunità primitiva di Gerusalemme. E questo non è falso archeologismo se è vero che il ritorno al Vangelo è la garanzia di una presenza al proprio tempo.

Il punto fondamentale per Chenu non sta in una difesa a qualsiasi costo della teologia della liberazione in America latina o in Africa. Ma nell'indicazione non solo di una distinzione ma anche di un'alternativa necessaria, ineludibile, tra mezzi poveri oppure al contrario strumenti potenti come modalità per testimoniare il messaggio evangelico. D'altra parte, Chenu non aveva certo timore nell'abbracciare una delle tesi della teologia della liberazione e cioè che la chiesa non può disinteressarsi delle lotte di librazione dei popoli che contengono in sé una forte aspirazione evangelica. La linea seguita da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI di lotta implacabile contro la teologia della liberazione non ha saputo assumere la partecipazione profonda al desiderio di rinnovamento dei poveri. E' vero che singoli numerosi cattolici, laici e sacerdoti donne e uomini, si sono impegnati eroicamente per l'assistenza ai poveri e per la loro liberazione, ma una chiesa dei poveri non ha visto la nascita.

Lo storico, però, dovrà astenersi da giudizi affrettati nella valutazione di cosa è successo in questi cinquanta anni nella scelta fra queste due modalità di presenza della chiesa cattolica nella società, quella dei mezzi poveri e quella del ricorso all'appoggio del potere politico. Solo un'attenta ricostruzione di migliaia e migliaia di esperienze in differenti parti del mondo potrebbe darci un quadro esauriente.

Complessivamente, mi sembra però che il sogno di una chiesa che si incarna nelle realtà dei poveri, rinunciando al principio costantiniano dell'alleanza con il potere politico, pronta a riformare se stessa sulla base della Parola di Dio e servendosi di mezzi poveri per l'evangelizzazione sia rimasto un sogno irrealizzato. La chiesa continua a possedere uno Stato, lo Stato Città del Vaticano, un sistema diplomatico e concordatario per i suoi rapporti con i poteri statali di tutto il mondo, continua a cercare di ottenere vantaggi per la propria presenza pubblica nella società tramite alleanza con i governi in carica, anche con uomini politici squalificati moralmente e istituzionalmente, pur di ottenere vantaggi per i propri scopi pastorali. Il grande sogno di rinnovamento che Chenu prospettava sembra finito, almeno in alcune parti del mondo. Ma proprio perché ciò avviene è necessario ritornare ai grandi sogni di un autentico cristianesimo. Non ha importanza che io mi sbagli nei miei giudizi. L'importante è che si ritorni a leggere il saggio di Chenu e a sperare ancora che il grande sogno si realizzi.

 


[1] Vedi ad es. A.Marchetto, Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Città del Vaticano, Libreria editrice Vaticana, 2005. In questa nota, e in quella seguente, cito volontariamente opere non particolarmente significative dal punto di vista scientifico-accademico, proprio per mostrare la diffusione dell'interpretazione conservatrice.

[2] "A 40 anni dal Concilio Vaticano II", in: A quarant'anni dal Concilio della speranza. L'attualità del Vaticano II, a cura di Duilio Bonifazi e Edoardo Bressan, Macerata, Eum edizioni Università di Macerata, 2008,28.

[3] "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa" 
("Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus"), 29 giugno 2007
AAS 99 (2007) 604-608; DeS 25 (2011); http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20070629_responsa-quaestiones_it.html

[4] Giovanni XXIII, Allocuzione dell'11 ottobre 1962: "...il Concilio...vuole trasmettere pura e integra la dottrina cattolica, senza attenuazioni o travisamenti...Ma nelle circostanze attuali il nostro dovere è che la dottrina cristiana nella sua interezza sia accolta da tutti con rinnovata, serena e tranquilla adesione...E' necessario che lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero compia un balzo in avanti, che la medesima dottrina sia conosciuta in modo più ampio e approfondito...Bisogna che questa dottrina certa e immutabile, alla quale è dovuto ossequio fedele, sia esplorata ed esposta nella maniera che l'epoca nostra richiede. Altra è la sostanza del depositum fidei, o le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, ed altro è il modo in cui vengono enunciate, sempre tuttavia con lo stesso senso e significato" : AAS 54 [1962] 791; 792.

[5] Cf. Paolo VI, Allocuzione del 29 settembre 1963: AAS 55 [1963] 847-852.

[6] Paolo VI, Allocuzione del 21 novembre 1964: AAS 56 [1964] 1009-1010 (trad. it. in: L'Osservatore Romano, 22 novembre 1964, 3).

[7] Il Concilio ha voluto esprimere l'identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa Cattolica. Ciò si trova nelle discussioni sul Decreto Unitatis redintegratio. Lo Schema del Decreto fu proposto in Aula il 23. 9. 1964 con una Relatio (Act Syn III/II 296-344). Ai modi inviati dai vescovi nei mesi seguenti il Segretariato per l'Unità dei Cristiani risponde il 10.11.1964 (Act Syn III/VII 11-49). Da questa Expensio modorum si riportano quattro testi concernenti la prima risposta.

[8] Vedi anche Daniele Menozzi, Giovanni Paolo II. Una transizione incompiuta? Per una storicizzazione del pontificato, Brescia, Morcelliana, 2006, pp. 170; "L'Anticoncilio (1966-1984)", in Il Vaticano II e la chiesa, Brescia 1985, pp. 433-464.

[9] "La tesi di fondo è semplice: la chiesa tridentina è finita perché è finita la modernità rispetto alla quale Trento è stata la risposta - e non solo la reazione - cattolica; Il Vaticano II è l'ultimo capitolo di quella vicenda piuttosto che l'alba di una nuova era. La quale semmai, comincia adesso che il ciclo degli stati nazionali è in via di esaurimento.... Che senso ha, oggi, che il responsabile della conduzione di tutto il governo della Santa Sede, il principale e diretto collaboratore del papa si chiami ancora ‘Segretario di Stato' e che i rapporti tra Roma e le chiese locali siano tenuti da ‘nunzi', ovverosia ambasciatori accreditati presso i vari Stati? E che la nomina dei vescovi sia oggi ancora in gran parte nelle mani dei nunzi apostolici presso gli Stati come nella prassi dell'età concordataria?' (da un articolo di Marco Burini sul libro di Paolo Prodi su Il Foglio 28.12.2010 pag. 2).

[10] Vedi la Storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, in vari volumi. Questa storia fondata e diretta da Alberigo è stata poi continuata da A.Melloni; Vedi anche di Alberigo almeno: Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II, Bologna Il Mulino, 2009; Breve storia del concilio Vaticano II (1959-1965), Bologna Il Mulino, 2005; Per una «Chiesa eucaristica». Rilettura della portata dottrinale della costituzione liturgica del Vaticano II, Bologna Il Mulino, 2002.

[11] M.-D. Chenu, "La fine dell'era costantiniana", in: J.-P. Dubois-Dumée, et alii, Un concilio per il nostro tempo, Brescia, Morcelliana, 1963, pp. 47-70. Edizione originale: "La fin de l'ère constantinienne", in: J.-P. Dubois-Dumée, et alii, Un concile pour notre temps, Paris, Cerf, 1961, 59-87. Su questo saggio di Chenu cfr. ora lo studio molto accurato di G.Zamagni, Fine dell'era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico, Bologna, Il Mulino, 2011.

[12] Sulla svolta costantiniana e sul rapporto di fedeltà o meno con le origini cristiane, vedi G. Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Bari-Roma, Laterza, 2011.

[13] Chenu, La fine dell'era costantiniana, p. 48s.

[14] Ivi, p. 49.

[15] Ivi, pp. 50-51.

[16] Ivi, 51-55.

[17] Ivi, p. 59.

[18] Ivi, p. 59.

[19] Ivi, pp. 60-62.

[20] Ivi, 62-63.

[21] M.Pesce, L'ermeneutica biblica di Galileo e le due strade della teologia cristiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005.

[22] Ivi, p. 64.

[23] Ivi, pp. 65-66.

[24] M. Pesce, "Esegesi storica ed esegesi spirituale nell'ermeneutica biblica cattolica dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio XII", «Annali di Storia dell'Esegesi» 6, 1989, 261-291; "Il rinnovamento biblico", in: Storia della Chiesa vol. XXIII: I cattolici nel mondo contemporaneo (1922-1958), a cura di M.Guasco, E.Guerriero, F.Traniello, Roma, Edizioni Paoline, 1991, 575-610; "Il rinnovamento biblico", in: Storia della Chiesa.Vol.XXV. La chiesa del Vaticano II (1958-1978). Parte II, a cura di M.Guasco, E.Guerriero, F.Traniello, Cinisello Balsamo Edizioni San Paolo, 1994, 167-216; "Dalla enciclica biblica di Leone XIII «Providentissimus Deus» (1893) a quella di Pio XII «Divino Afflante Spiritu» (1943)", in: C.M.Martini, G.Ghiberti, M.Pesce, Cento anni di cammino biblico, Milano Vita e Pensiero, 1995, 39-100.