Il Gesù storico fondatore del cristianesimo? mauro pesce

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INVITO ALLA DISCUSSIONE SU QUESTO TESTO

CHE CONTIENE NOVE IPOTESI

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a cui risponderò su Mauro Pesce risponde

Se Gesù sia fondatore del cristianesimo[1]

I problemi di cui Gesù non avevaparlato

 

La questioneaffrontata qui è estremamente complessa e presenta una varietà di fattori chedevono tutti essere tenuti in conto per potere dare una risposta esauriente. Mail mio tentativo in queste pagine è quello di isolare un solo fattore fra imolti implicati nella questione e di presentare al suo proposito non tanto unatesi, quanto piuttosto un’ipotesi con l’intento di provocare una discussione,un insieme di reazioni che possano poi rilanciare su un piano storico laquestione fondamentale la quale, proprio per la sua straordinaria importanza,finisce per essere affrontata esplicitamente solo in casi rari. Posta la naturadi queste pagine, non si deve cercare in esse una presentazione delle diverseipotesi sostenute nella ricerca attuale, né una loro discussione, néindicazioni bibliografiche sufficienti. Il mio intento è quello di mettere inluce un aspetto della questione che io ritengo più importante di altri e - inrelazione a  questo aspetto -proporre una ipotesi di soluzione. Spero che l’isolamento unilaterale di unsolo fattore possa mettere meglio in luce la possibilità o meno di afferrare ilproblema nella sua sostanza e al suo centro.

 

 

1. Il regno di Dio e la conversione finale deinon-Giudei

 

Gesù pensava divivere, di situarsi e avere una funzione, in un periodo immediatamenteprecedente l’avvento del regno Dio.[2] Egli predicava «dicendo che: è compiuto il tempo esi è avvicinato il regno di Dio; convertitevi e credete all’annuncio» (Mc1,14). Il regno, però, sarebbe stato instaurato in futuro da Dio stesso, dopoil giudizio finale. Il grande rivolgimento del regno di Dio si sarebbe quindiverificato dopo una serie di eventi escatologici precedenti.[3] Gesù non crede di avere il compito di realizzare ilregno di Dio sulla terra. Deve solo aiutare gli uomini ad entrarvi. Invita allaconversione, sollecita a una obbedienza radicale alla volontà di Dio, in vistadel regno che di lì a breve si realizzerà.[4]

Certo, Gesùpensa che la potenza di Dio già si manifesta nelle sue guarigioni miracolose: «seio scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi ilregno di Dio» (Mt 12,29). Ma ciò non elimina il fatto che molte parole di Gesùpresuppongono chiaramente che il regno è una realtà futura (Mt 16,19; 18,3-4;19, 23-24 e molti altri). Spesso si è cercato di spiegare la contraddizioneaffermando che il regno è giàpresente, ma non ancora venuto.[5] Anzi si è detto che questa compresenza di già e non ancora è l’essenza della fede del seguace di Gesù. Ma questo non risolveaffatto il problema. Il regno di Dio è una trasformazione storica, sociale,politica e cosmica collettiva. Il fatto che Dio conceda o meno a Gesù deipoteri particolari di guarigione non sostituisce l’instaurazione del potere diDio su tutta la storia.[6]

Proprio perchéGesù situa se stesso prima della fine, egli non è un fondatore di religione, unorganizzatore di società, un legislatore. Certo, Gesù con i suoi Dodici discepolisarebbe stato il giudice che avrebbe presieduto al giudizio finale: «nellanuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della suagloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù diIsraele» (Mt 19,28). Ma questo fatto si verificherà solo nel futuro e il regnodi Dio inizierà solo dopo il giudizio universale.

ProbabilmenteGesù pensava - come i profeti biblici (cfr. Is 60; 2,3-4; 25,6-9; 49,22-26;51,4-5; 55,4-5; 56,3-8; 66,18-22; Zac8,20-23) - che, dopo il giudiziouniversale, sarebbe iniziato il regno di Dio, e tutte le genti (cioè inon-Giudei) si sarebbero convertite all’unico Dio. Dio, lui solo, avrebbeinstaurato quel regno nel quale tutti i popoli della terra sarebbero entratigrazie alla loro conversione all’unico Dio. Allora si sarebbe avverato ilpellegrinaggio di tutte le genti a Gerusalemme e il regno di Dio avrebbecoinciso col regno di Israele (o viceversa). Gesù però non doveva occuparsidella conversione dei non-Giudei, che era un evento futuro. La sua predicazionedoveva limitarsi solo «alle pecore perdute della casa di Israele» e ad essesoltanto dovevano indirizzarsi anche i Dodici (Mt 15,24; 10,6). Anzi, essi nondovevano neanche percorrere la stessa strada dei non-Giudei (i Gentili) ed entrarenella città dei Samaritani (Mt 10,5).[7]

Il motivo peril quale Gesù non voleva fondare una nuova organizzazione religiosa sta proprionel contenuto del suo messaggio. La speranza di Gesù non era di fondare unnuovo gruppo, ma che tutto Israele fosse salvo e che - successivamente - tuttii non Giudei si convertissero al Dio vivo e vero riuniti nel regno di Israele edi Dio.[8] La fondazione di un piccolo gruppo di seguaci eratroppo poco rispetto al progetto di una conversione universale all’unico Dio inuna umanità radicalmente rinnovata dal potere di Dio.[9]

 

 

2. Il quinto regno, Israele, e il Figlio dell’uomo

 

Per Gesù ilregno di Dio è infatti il quinto regno previsto dal Libro di Daniele, quello che verrà dopo i quattro regni dei re deipopoli.[10] Dopo il quarto regno, quello di ferro, il poteresarà dato

 

«al popolo dei santi dell’Altissimo,il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbediranno» (Dan7,27).[11]

 

In questa concezione del regno di Dio il centro stanell’idea che dopo il dominio dei gentili arriverà finalmente il regno diIsraele che coincide essenzialmente con quello di Dio stesso. Secondo questaconcezione, all’avvento del regno di Dio e di Israele sono strettamente legatialtri eventi:

- il giudizio finale su Israele e su tutta l’umanità,

- la conversione di tutti i popoli all’unico veroDio,

- l’intervento della figura del Figlio dell’Uomo

- un regno terreno di durata difficile da definire,

- la risurrezione dei corpi di tutti gli uomini delpassato.

 

Nell’instaurazione di questo quinto regno una figuraspeciale - il Figlio dell’uomo - ha una funzione determinante:

 

« ecco apparire, sulle nubi delcielo, uno, simile ad un figlio di uomo… il suo potere è un potere eterno, chenon tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dan7,13-14).

 

Ovviamente non bisogna pensare che Gesù dipenda dal Librodi Daniele o dal I libro di Enoch in modo servile, quasi citasse o ripetesse le teorieche vi trovava. Dobbiamo invece supporre che egli rielaborasse in modo creativoquelle idee. La stessa centralità assoluta del concetto di regno di diopotrebbe essere in qualche modo sua. Altrove ho ipotizzato che egli rileggesseil concetto di regno di Dio alla luce della concezioni del giubileo levitico,senza trascurare l’influsso che le idee della sovranità orientale potevaesercitare su di lui.[12]

In ogni casosia il Libro di Daniele sia il IEnoch assegnavano una funzioneparticolare al Figlio dell’Uomo nell’avvento o esercizio del regno. Rimane unproblema centrale quello di capire la relazione che Gesù pensò di avere conquella figura.

Sono numerosi ipassi nei diversi vangeli in cui si parla del Figlio dell’uomo (30 in Mt; 13 inMc; 24 in Lc; 12 in Gv e 1 in Atti7,56). La ricerca è però incerta se Gesù si sia identificato con lui o abbiapensato di avere con lui un rapporto stretto, o se invece sia stata lariflessione dei suoi seguaci dopo la sua morte a introdurre questo rapporto traGesù e la figura del Figlio dell’Uomo.

I vangeli nonci trasmettono molte parole di Gesù sui diversi eventi escatologici che hoenumerato come collegati con l’avvento del regno di Dio. Quello che Gesù dicesulla fine è spesso oscuro (cfr. ad es. Mc 13,1-37). Ireneo ci trasmette delleparole di Gesù sul regno finale terreno i cui contenuti sono essenzialmentel’abbondanza prodigiosa di cibo e una pacificazione universale:

 

“ il Signore, a proposito di questitempi, insegnava e diceva: Verranno giorni in cui nasceranno vigne, condiecimila viti ciascuna … Così pure un chicco di frumento darà diecimila spighe… anche gli altri frutti, semi, ed erbe saranno secondo queste proporzioni.Tutti gli animali che si nutrono di questi cibi che si prendono dalla terrasaranno pacifici e in armonia tra loro. Essi saranno pienamente sottomessi agliuomini” (Contro le eresie, 5, 33,3).[13]

 

 Nonpochi seguaci di Gesù nei primi due secoli condivideranno questa opinione dall’Apocalisse (Ap 20,3-7; 21,1-4.10.23-27; 22,1-5) a Giustino.[14] Ma la difficoltà di conciliare i diversi eventi e lediverse concezioni escatologiche non ci può fare dimenticare il punto centrale:il regno di Dio doveva porre fine al dominio dei non Giudei e far iniziare ilperiodo in cui tutte le genti si sarebbero convertite all’unico di Dio diIsraele.

 

 

3. Invece del regno di Dio venne la morte di Gesù

 

I vangeli di Marco,Luca e Matteo ci narrano la difficoltà di Gesù nell’accettare ildestino della sua morte e il conflitto tra la propria volontà e i propridesideri e la volontà di Dio: «sia fatta la tua e non la mia volontà» (Mc14,36; Mt 26,39; Lc 22,42) presuppone un conflitto tra i sogni di Gesù e ladecisione di Dio. Il dramma della vicenda di Gesù sta nel fatto che egli fuucciso e il regno di Dio su tutti i popoli con la loro conversione non siverificò durante la sua vita. La morte interrompe la serie degli eventi cheavrebbero dovuto portare al regno di Dio. Gesù esce di scena senza avere vistol’avvento del regno predicato e sognato. Invece del regno di Dio venne la mortedi Gesù.

I suoidiscepoli si trovarono di fronte al fatto che Gesù non c’era più e che ilregno di Dio non c’era ancora.[15] Questo costituiva un problema enorme, ma nondeterminò la fine del movimento di Gesù. La sua morte, infatti, non fu vissutada molti dei suoi discepoli come la fine della vicenda di Gesù o come unasemplice sconfitta. Essi si diedero da fare con grande impegno a diffondere ilsuo messaggio o almeno un messaggio che aveva la sua vicenda al suo centro.

Tutto sta nel combinarsi di questi duefattori: una certezza che li spingeva a continuare il movimento di Gesùnell’attesa del regno di Dio e il non avere indicazioni di Gesù su di esso.

Gesù infattinon aveva dato alcuna indicazione su almeno tre problemi:[16]

1. come comportarsi nei confronti delproblema della conversione dei non-Giudei.

2. come comportarsi di fronte al fattoche il regno di Dio non si verificava.

3. come organizzare le comunità diseguaci.

Questa mancanza di indicazioni è unodei motivi, non il solo, della pluralità di risposte e della pluralità ditendenze che si verificarono da subito fra i seguaci di Gesù dopo la sua morte.Il movimento dopo la sua morte si manifestò fin dall’inizio in una pluralità diforme. Affrontare problemi nuovi spingeva quindi i discepoli dopo la morte diGesù a prendere decisioni che prima non si erano presentate necessarie. Essipotevano certo interrogare l’esperienza di Gesù, ma così facendo dovevano dareinterpretazioni spesso divergenti di quello che egli aveva detto e fatto.

 

4. Tre diverse riposte allaconversione dei non-Giudei

 

Se per la concezione stessa del regnodi Dio universale, su tutta la terra, era essenziale la conversione deigentili, come doveva verificarsi questa conversione? Due furono le risposteprincipali, in opposizione l’una all’altra.

La prima propose che i gentili siconvertissero al giudaismo non soltanto nel senso che dovevano adorare solo ilDio unico e vero, ma anche osservassero integralmente la legge biblica(circoncisione compresa) (cfr. Atti15,1.5; Gal 2,12; 6,12).

Una seconda corrente, rappresentata daPaolo, sostenne invece una sorta di giudaizzazione parziale dei non Giudei:dovevano convertirsi all’adorazione dell’unico Dio, abbandonando così i cultiad altre divinità (1 Ts 1,9-10; Gal 4,8-9), ma non avevano bisogno di diventareGiudei. In attesa del regno, Giudei e non Giudei dovevano convivere ecoesistere nei gruppi di seguaci di Gesù senza rinunciare alla propriadifferenza.

La prima di queste due tendenze divenneben presto minoritaria. Non scomparve mai, ma già alla metà del II secolo eranumericamente perdente. La seconda ebbe una brevissima durata: forse morì conla morte dello stesso Paolo. L’equilibrio delicato che Paolo proponeva traGiudei e non-Giudei all’interno della comunità era infatti difficilmentemantenibile.

Col tempo, infatti, si formarono comunitàdi seguaci di Gesù composte soltanto da non-Giudei. Il fatto che a loro sichiedesse solo una giudaizzazione parziale consistente nell’adorazione del Diounico senza l’osservanza della Torah portava alla formazione di gruppireligiosi in cui tutte le concezioni giudaiche venivano interpretate e vissutein base ad una cultura non giudaica. Si ebbe così una sorta dipaganizzazione del giudaismo.L’unicità di Dio combaciava con un’idea centrale in tutta la filosofia greca.Il fatto che le comunità di seguaci di Gesù fossero costituite da gruppietnico-culturali non ebraici portava inevitabilmente ad assumere,reinterpretare e modificare l’etica e le concezioni giudaiche in baseall’identità etnico culturale di ciascun gruppo. Molte delle concezioni giudaichevennero così sostanzialmente abbandonate o trasformate. Il concetto di regno diDio come quinto regno, il regno di Israele che succede al regno dei non-Giudei,venne trasformato in un concetto astratto di regno di Dio universale. L’ideadel messia venne totalmente degiudaizzata fino a che questo titolo divenne unasigla senza significato, sostituita da un ben altro titolo cristologico, quellodi Figlio consustanziale al Padre.

Quello che noi chiamiamo cristianesimonon è espressione della prima risposta (che proponeva che i gentili sigiudaizzassero), la quale viene oggi chiamata spesso “giudeo-cristianesimo”.Non è espressione neppure della seconda che dovrebbe essere chiamatasemplicemente paolinismo. Il cristianesimo è solo la terza forma, quella che “paganizzò”il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. Il cristianesimo è quindi, nella miainterpretazione, la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù“paganizzando” il giudaismo, cioè per esprimeresi in termini più corretti: queigruppi che eliminarono dal messaggio di Gesù glie lementi della culturagiudaica per essi non signficativi o comprensibili e lo reinterpretarono ericollocarono all’interno dei dievresi sistemi culturali - non giudaici - dei“gentili”.[17]

Questo tipo diforma o di gruppo di seguaci di Gesù diventa maggioritario nella seconda metàdel II secolo e i suoi membri si autodefiniscono «cristiani». Un momentosignficativo di questo processo lo si trova nel Dialogo con Trifone di Giustinoa cui è dedicato l’ultimo capitlo di questo libro. I cristiani di allora non vollero definire “cristiani” i Giudei che credevanoin Gesù e cercarono di escludere come eretici quelli che non condividevano leloro convinzioni. Ma non si può pensare che esista una continuità assoluta trai «cristiani» e il movimento di Gesù.

Gli Attidegli apostoli dicono che i seguacidi Gesù ad Antiochia (alcuni oppure tutti?) vennero chiamati «cristiani» (christianoi) (11,26, cfr. 26,28 e 1 Pt 4,16). Ma i cristiani delII secolo sono molto diversi dal gruppi dei «cristiani» di Antiochia. Si trattadi gruppi che portano lo stesso nome, ma sono molto diversi gli uni daglialtri. Quando gli Atti degli apostoli parlano di «cristiani» è probabile che si riferiscano ad un gruppocomposto da Giudei della città di Antiochia di cui facevano parte forse anchenon Giudei. Il fatto che ad un certo punto si sia costituito un gruppo i cuimembri vennero da alcuni chiamati christianoi (o che essi stessi si definirono tali) non significache tutti i seguaci di Gesù di Antiochia facessero parte di quel gruppo, né chequel gruppo avesse rotto ogni relazione con le comunità giudaiche di Antiochia.Non c’è alcun serio motivo che io conosca per quale i christianoi di cui parlano gli Atti non fossero uno dei tanti gruppi di Giudei che esistevanoad Antiochia.

I «cristiani»di cui parlano gli Atti degli Apostoli non avevano le medesime concezioni teologiche e non erano organizzatisecondo i medesimi meccanismi istituzionali dei cristiani della cosiddetta«grande chiesa» del III secolo e non erano un gruppo esterno al giudaismo. I christanoi della II metà del II secolo sono invece tuttinon-Giudei sia per appartenenza etnica sia per appartenenza culturale. Questofatto appare chiaramente da Giustino nel 160 circa.

Per Giustino i cristiani sono coloro che credono in Gesù Cristo e sono Gentili.[18] In Giustino, il termine cristiano definisce un solo settore di tutti coloro che credono inGesù Cristo: i non Giudei che credono in Gesù. Non è un termine capace diabbracciare tutti i seguaci di Gesù, da esso sono esclusi i Giudei che credonoin Gesù. Per questi seguaci di Gesù Giustino non ha neppure un nome. In qualchemodo, il termine cristiani sottolinea quindi una divisione piuttosto che una unione.

In conclusione:la mancanza di indicazioni di Gesù circa la conversione dei pagani che peraltrofaceva parte della sua immaginazione dell’avvento del regno di Dio produsseanche una corrente di seguaci di Gesù, costituita da una stragrande maggioranzaetnica non ebraica che produsse una radicale degiudaizzazione del messaggio diGesù.

Io qui ipotizzoche nella visione di Gesù il regno di Dio implicasse necessariamente laconversione dei gentili, e che perciò fu necessario domandarsi comeconvertirli, visto che Gesù non aveva lasciato indicazioni. ma la cosa non ècosì certa. Infatti, non sappiamo se veramente la predicazione ai non Giudei,che cominciò abbastanza presto (come suppongono i primi due capitoli della lettera ai Galati) fosse motivata dall’idea della conversione finale deiGentili in vista dell’avvento del regno di Dio. L’episodio di Atti 10, 44-48 sembra motivare in modo diverso lanecessità di battezzare non-Giudei.

Comunque lecose stiano, rimane il fatto che Gesù non aveva mai rivolto il suo annuncio ainon-Giudei. Gesù perciò non si era mai posto il problema che invece dovetteroporsi tutti i suoi seguaci che cominciarono a predicare ai non-Giudei: e cioèil problema di doverli prima convincere che le credenze negli Dèi erano daconsiderare “idolatria” e che fosse necessario credere all’unico Dio vero,quello di Israele. In questo tipo di predicazione anti-idolatrica, ipredicatori protocristiani non potevano fare appello a nessuna parola di Gesù anessun suo orientamento o precetto. Avevano invece a disposizione la riccariflessione anti-idolatrica giudaica del tempo. Troviamo non a caso concordanzetra la critica anti-idolatrica dell’Apocalisse di Abramo VI-VIII equella della Predicazione di Pietro(Kerygma Petrou).[19]

Mi sembraquindi abbastanza chiaro che tutta la predicazione ai non-Giudei fu un fenomenocomplesso che si verifico indipendentemente dalla predicazione di Gesù e dallasua volontà.[20]

 

5. Perché ilregno di Dio non viene?

 

Di fronte alnon verificarsi dell’avvento del regno di Dio le risposte furono molteplici emolto diverse fra loro e non poterono fare appello a Gesù.[21]

            L’Apocalisse testimonia una risposta che mantiene la speranza diGesù nel regno di Dio futuro e universale (Ap 11,5). Giovanni attende l’avventodel Regno di Dio che coincide ai suoi occhi con il regno di Israele (7,4; 21,12), come nella visione danielica del quintoregno. Il dramma a cui il libro vuole rispondere sta nel fatto che il regno nonè ancora venuto. I gentili sono ancora al potere e hanno ancora la forza diperseguitare e distruggere i seguaci di Gesù. L’Apocalisse tiene però fede alla credenza che il regno di Dio/diIsraele verrà. Certo, già da ora i seguaci dell’agnello regnano (1,6; 1,9;11,15; 12,10)  ma si tratta di unregno nascosto, celeste, che non si manifesta storicamente e socialmente. Èperciò necessaria la guerra finale. I re gentili di tutta la terra siraduneranno per la guerra del giorno grande di Dio (16,12-16), il qualefinalmente vincerà. Poi inizierà il periodo di messianico di mille anni (20,2),a cui seguirà un’ultima rivolta delle forze del male, infine totalmentesconfitte (20,7-10).

Nel Vangelodi Tommaso, invece, il regno di Dionon è più una realtà storica, sociale e cosmica:

 

«Dice Gesù: se quelli che vi guidanovi diranno: ecco il regno è nei cieli, gli uccelli del cielo vi precederanno.Se invece diranno che è sulla terra verranno i pesci del mare vi anticiperannoe il regno di Dio è dentro e fuori di voi. Chi conosce se stesso lo troverà eallora voi arriverete a conoscere che siete figli del padre, il vivente … (Tommaso3, Papiro diOssirinco 654, 9-21).

 

Anche in Paolola «nuova creazione» (2 Cor 5,17 e Gal 6,15) è un fatto interiore che riguardasolo il singolo come nelle religioni di mistero, anche se in Rom 8,22 appareuna aspirazione cosmica alla redenzione. Nella lettera pseudopaolina a Tito la «palingenesi», il rinnovamento storico di cuiparlava Gesù in Mt 19,28 è diventata solo un fatto puramente interiore cheriguarda il singolo: consiste in un rinnovamento interiore tramite lo Spiritosanto (Tit 3,5).

 

Per Gesù l’avvento del regnouniversale di Dio sulla storia era centrale, mentre il tema della risurrezioneera secondario. Gesù parla della risurrezione solo nel dibattito con isadducei: cf. Mc 12,18-27 // Lc 20,27-33 // Mt 22,23-31. Le predizioni dellapropria risurrezione (Mc 8,31; 9,31;10,34 // Mt 16,21; 17,19; 20,19 // Lc 9,22;cf. Gv 3,14; 8,27; 12,32.34) potrebbero essere secondarie e redazionali: Cfr.anche il discorso sul segno di Giona che sembra riferirsi alla risurrezione diGesù (cf. Lc 11,29-32; Mt 12,39-41; 16,4). Quando Gesù dopo la trasfigurazioneparla della sua risurrezione (Mc 9,9-10) i tre discepoli sembrano addiritturanon capire di cosa si tratti. In tutto il pensiero di Gesù il tema dellarisurrezione non sembra avere un ruolo sistemico fondamentale.

Ben presto (prima in Paolo primae poi nel Vangelo di Giovanni) iltema della risurrezione divenne prevalente su quello del Regno di Dio. InPaolo, il tema del regno di Dio sembra abbastanza secondario, mentre ilconcetto centrale, il punto di Archimede di tutto il suo pensare teologico, èla risurrezione: 1 Cor 15,3.

La domanda a cui dovremmorispondere è allora: Come mai Gesù parla così poco della risurrezione e con unruolo marginale nel suo pensiero, mentre Paolo ne parla così tanto e con unruolo così centrale?

            C’èuna radicale differenza tra regno di Dio e risurrezione.[22]  Gesù predicava il regno di Dio Paoloinvece la risurrezione di Cristo. «Il regno di Dio è imminente. Convertitevi ecredete all’annuncio» diceva il Gesù del vangelo di marco (1,14). Paolo inveceannunciava:  «Gesù è morto per inostri peccati secondo le Scritture ed è risuscitato secondo le Scritture» (1Cor 15, 3-5). Gesù annunciava l’intervento di Dio, Paolo la risurrezione diGesù.

            Gesùè tutto concentrato su Dio e il suo intervento e su ciò che bisogna farenell’attesa del radicale cambiamento che questo intervento provocherà. QuandoDio verrà finalmente a regnare, questo mondo (dominato dall’ingiustizia) sarànecessariamente finito. Paolo è tutto concentrato su Cristo e sulla salvezzache la sua risurrezione ha già portato.

            Lapredicazione di Gesù era escatologica perché l’avvento del Regno di Dio porteràintrinsecamente  con sé la fine di questo mondo. Certo, anche quella di Paolo è escatologica,perché la risurrezione è un evento che si realizza alla fine di questo mondo,ma la fine è già avvenuta o ha già cominciato a venire con la risurrezione diGesù. Quindi Paolo guarda non solo al futuro, ma anche al passato, anzi: il suopunto di forza è nel passato. La risurrezione di Gesù, infatti, è l’iniziodella risurrezione universale. Se un morto è risorto, significa che sonoiniziati i tempi della risurrezione universale: la fine è chiaramente arrivata.           

            L’eventodella risurrezione finale dei morti era uno degli eventi del sistema simbolicoconcettuale escatologico giudaico. È allora evidente che se la risurrezioneviene piazzata prima dell’avvento del Regno di Dio essa finirà per mettere inombra e soppiantare il regno. Di fatti, in Paolo, Gesù è concepito come“Signore” Kyrios. Un signore che domina già, seppure solo nei cieli. Paolomantiene la differenza tra regno di Cristo e regno di Dio (1 Cor 15, 23-28). Mail dominio di Dio sembra essere soprattutto di tipo cosmico: il dominio sullepotenze e soprattutto sulla morte (sconfitta la quale avverrà la fine).  In sostanza, anche in Paolo come nell’Apocalisse, viene mantenuta la distinzione tra un regno diCristo nei cieli, in assenza del regno di Dio in terra, a cui succederà poi ilregno totale di Dio. Ma, a differenza dall’Apocalisse il regno di Dio totale e futuro sembra essere dicarattere celeste (esattamente come i corpi della risurrezione sono corpi«celesti» e non «terrestri» secondo Paolo in 1 Cor 15, 40).

La differenza con Gesù è incalcolabile.  Per Gesù il perdono dei peccati avvienetramite un rapporto trilaterale tra Dio che perdona l’uomo e l’uomo che perdonail suo prossimo: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ainostri debitori» (Mt 6,12). Per Paolo, solo con la risurrezione di Cristo ipeccati degli uomini sono perdonati da Dio. La frase di Paolo non lascia dubbi:«Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostripeccati» (1 Cor 15, 17). È come se Paolo non conoscesse neppure il Padrenostro del quale del resto non c’è alcuna traccia nel suoepistolario. Non è il Gesù storico che rimette i peccati, non è il rapportotrilaterale tra Dio me e il prossimo che cancella il peccato (Mt 6,12), ma larisurrezione di Cristo.

            Inrealtà, Paolo concepisce morte e risurrezione di Gesù come un unicoinscindibile atto salvifico operato da Dio. La morte opera la cancellazione deipeccati (espiazione nel suo sangue dice in Rom 3,25), ma se Dio non avesserisuscitato Gesù la sua morte sarebbe rimasta senza significato. Larisurrezione mostra che Dio ha dato valore a quella morte, il fatto di essererisuscitato da Dio evidenzia  ilfatto che anche la sua morte è voluta da Dio e che opera la cancellazione deipeccati.[23] Ma, comeR.Penna afferma, il tema delle risurrezione e della giustificazione, legato adessa, è tipicamente paolino. Ciò potrebbe significare che è Paolo ad attribuireun inscindibile rapporto tra morte e risurrezione tanto da non poter piùisolare la morte e il suo significato dalla risurrezione.

In Giovanni, poi, lo scopofondamentale della esperienza religiosa non è il regno di Dio, ma è larinascita (cf. Gv 1,12-13).[24] Anche in questo modo veniva a perdersi la speranza diun rinnovamento radicale della storia.

In conclusione,il cristianesimo è una religione che marginalizzerà l’attesa di Gesù in unregno di Dio storico e cosmico e marginalizzerà anche le risposte di queiseguaci di Gesù che mantenevano l’aspetto politico, storico e giudaico delconcetto di regno di Dio. È una religione per la quale il regno di Dio non èpiù il concetto, l’aspirazione centrale e fondamentale. È un sistema religiosoin cui l’attesa della realtà imminente si attenua ed è prevalentementesostituita dalla salvezza già avvenuta con Gesù Cristo e dalla salvezza ultraterrenaconcepita spesso come un fatto che si verifica immediatamente dopo la morte.

Anche in questocaso, Gesù non può essere considerato il fondatore del cristianesimo,nonostante che il cristianesimo mantenga un contatto con il concetto di regnodi Dio, seppure in una maniera fortemente spiritualizzata e destoricizzatarispetto a Gesù e a diverse correnti dei suoi seguaci (ad esempio imillenaristi).

 

6. Perché iseguaci di Gesù non si sentirono sconfitti alla morte di Gesù e dalla mancatavenuta del Regno di Dio?

 

Abbiamo anchevisto che nonostante la sua morte i seguaci di Gesù non si sentirono sconfitti,ma anzi diedero vita ad una intensa opera di predicazione. Comprendere perché isuoi discepoli non si dispersero e, anzi, diffusero tenacemente il loromessaggio è di assoluta importanza.

La certezza deidiscepoli derivava dalla convinzione che la fine fosse già iniziata e che ilprocesso di avvento del regno fosse ineludibile? Oppure la loro certezza sibasava sulla convinzione che Gesù fosse risorto, come forse avvenne per Paolo eper molti teologi proto-cristiani? Tutte le loro certezze si basavano su Gesù esu ciò che egli aveva detto, fatto e predetto oppure si basavano su convinzioniche anche Gesù condivideva?

La mia ipotesiè che ciò che legava i vari gruppi di seguaci a Gesù era non solo il rapportocon lui come persona, ma soprattutto con un aspetto centrale del suo messaggioe con un modo di mettere in pratica questo messaggio che era assolutamentefondamentale. Ciò che legava i seguaci di Gesù a Gesù non era una fede in lui,ma la fede che egli aveva in Dio. I seguaci di Gesù mantennero il puntofondamentale della azione e predicazione di Gesù: la certezza che Dio stesseper intervenire. Essi impararono da Gesù una fortissima concentrazioneteo-logica. La continuità tra i gruppi di seguaci di Gesù e Gesù non èprimariamente cristologia, ma teo-logica.[25]

Ma la certezzache Gesù aveva in Dio non era astratta e teologica: si centrava soprattuttonella pratica religiosa della preghiera e delle esperienze di contattosoprannaturale con Dio.

Gesù fu per isuoi discepoli maestro di contatto con le forze soprannaturali: la visione,l’estasi, la rivelazione, il viaggio celeste, la trasmissione della dynamis soprannaturale che rende in grado di compireguarigioni. La continuità tra i seguaci di Gesù e il loro maestro fu quindianche e soprattutto di carattere culturale. Fu una continuità nella praticaculturale del contatto con il soprannaturale.[26]

 

7. Come organizzare le comunità diseguaci. Le prime comunità. Da movimento interstiziale aekklêsia.[27]

 

I seguaci di Gesù - almeno ad un certo punto - siorganizzarono in «chiese», ekklêsiai. Come ogni forma sciale, anche le ekklêsiai ebbero bisogno di un’organizzazione interna e disistemi di rapporto reciproco. Su questo tema Gesù non aveva lasciato alcunaindicazione.[28] Il motivo sta nel fatto che Gesù non voleva fondareuna sua organizzazione religiosa, posto che sognava ben di più: la conversionedi tutta l’umanità, Giudei e gentili, nel regno di Dio futuro. Lo scopofinale di Gesù era quello di annunciareil regno di Dio. Il suo intento era portare il regno di Dio nella situazioneconcreta, di lavoro, di famiglia, di rapporti interpersonali. Gesù non è unleader religioso che chiede di andare in un particolare luogo (o tempo) perincontralo, ma chiede che si debba incontrarlo in qualsiasi luogo o tempo. Eglivuole rendere possibile l’intervento di Dio mediante uno stile di vita esituazioni in cui sono abolite o sospese tutte le relazioni e attività chetendono a costruire una realtà che rendono impossibile un intervento di Dio.

Lastruttura itinerante, volontaria ed interstiziale ci fa pensare che siamolontani da un livello associativo di tipoistituzionale. Nel libro L’Uomo Gesù, Adriana Destro e io scrivevamo:[29] «Gesù voleva rivolgersi a tutta la popolazione diIsraele per prepararla a entrare nel futuro regno di Dio tramite un radicalerinnovamento della vita quotidiana delle case. Gesù non aveva intenzione difondare una propria associazione svincolata dai luoghi e dalle forme sociali (inuclei domestici, in particolare) in cui si svolgeva la vita della gente. 

Ci si può allora domandare come mai il vangelodi Matteo attribuisca a Gesù lacelebre frase rivolta a Simon Pietro: «Tusei Pietro e sopra questa chiesaedificherò la mia chiesa (ekklêsia)»(Mt 16,18). Questa frase è stata infinite volte utilizzata per sostenere cheGesù voleva fondare la chiesa, una realtà religiosa ben distinta e autonoma.Bisogna, però, anzitutto rendersi conto che buona parte dell’esegesi riconosceche questa frase non è di Gesù, ma è stato l’autore del Vangelo di Matteo che gliela ha attribuita circa cinquant’anni dopo lasua morte. Bisogna attribuire questa frase e il breve brano in cui è inserita(Mt 16,16-19) all’iniziativa di Matteo (che del resto è il solo a riportarla).[30] La frase difficilmente può essere stata pronunciata da Gesù. Il Vangelodi Marco, quello di Luca e quello di Giovanni citano ben più di un centinaio di frasi, parabole, ediscorsi di Gesù, ma la parola “chiesa” (ekklêsia) non vi appare mai. Anche il Vangelo di Matteo cita una quantità notevole di frasi di Gesù e nonmette mai sulla sua bocca questa parola, salvo in due casi. Il primo è quelloappena citato. Il secondo è molto più articolato ed eloquente: “Se il tuofratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se tiascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con teuna o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tretestimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo alla chiesa (ekklêsia); e se non ascolterà neanche la chiesa, sia per tecome un Gentile e un pubblicano” (Mt 18,15-17). In questo secondo brano Matteosi riferisce a un’organizzazionecomunitaria che non esisteva quando Gesù era vivo. Sta immaginando unasituazione tipica del suo tempo, l’ultimo quarto del I secolo, in cui ormaicomunità si sono formate e sono previsti meccanismi di comportamento interno.All’epoca di Matteo la parola“chiesa” era ormai molto usata. Appare, difatti, massicciamente negli scritticanonici del Nuovo Testamento che parlano della vita delle comunità dei seguacidi Gesù, alcuni decenni dopo la sua morte. La troviamo ad esempio nelle lettereattribuite a Paolo (più di 60 volte). È in questo clima storico che le diversecomunità cominciano a porsi il problema della propria legittimità e del propriocollegamento con l’autorità di Gesù. È vero che il passo di Matteo 16,18 è uno di quei testi, non il solo, cheattribuisce a Pietro una funzione particolare. Ma non mancanotesti cheattribuiscono a Giacomo o a Tommaso funzioni particolari».[31] Nei decenni successi alla morte di Gesù si sviluppò un dibatatitto su achi dovesse essere attribuita autorità e ciò signfica che manvano parle chiaredi gesù sull’argomento.

            La prospettiva di Gesùera, però, molto diversa: egli non pensava all’organizzazione di un proprioorganismo autonomo, ma al rinnovamento di tutto il popolo di Israele in attesadella nuovarealtà che Dio avrebbe di lì a poco instaurato. D’altra parte il vangelo diMatteo mette in bocca un futuro e non un passato o un presente. Gesù non dicesu questa pietra ho edificato la mia ekklêsia, né “edificio” ora,ma “edificherò” (oikodomêsô): Matteo era quindi consapevole che Gesù nonaveva costruito alcuna ekklêsia durante la sua attività. Si trattava di unaprospettiva futura. Anche quindi se si prende alla lettera questa farse di Matteo e la si attribuisce aGesù, l’esistenza e la costruzione di una ekklêsia non fa parte dellapratica di vita di Gesù.

            Gesù non fonda una chiesa nel senso che non forma uncentro di potere (normativo e fondativo) al quale sianoattribuite appunto le funzioni di legiferare, di ordinare, condannare, punire eneppure garantire la salvezza (anche per il vangelo di Giovanni è solo il Gesùrisorto che attribuisce ai discepoli il potere di rimettere i peccati). In Matteo le frasi attribuite a Gesù sulle chiavi del regnoriguardano chiaramente solo il futuro. 

            Ilfatto che non fondi una comunità significa che Gesù non ha bisogno di assegnarefunzioni e compiti che la strutturino. Il suo compito non è quello diorganizzare una società su nuove basi.Non organizzaneppure nuovi luoghi di culto. Gesù frequenta le sinagoghe e in esse agisce inmodo inconsueto, ma non crea delle alternative per i suoi adepti, delleoccasioni di culto diversi, nuove sinagoghe.

            Solo,quando si formano le prime comunità di seguaci di Gesù, dopo la sua morte,nascono le cosiddette ekklêsiai,strutture più organizzate e a base locale. Le troviamo ad esempio menzionateesplicitamente in Paolo e negli Atti degli apostoli.

            Dopola morte di Gesù, il rapporto diretto faccia a faccia con Gesù non è piùpossibile. Il rapporto personale con il leader che accorpava le persone attornoa sé viene sostituito da un rapporto con un culto e con un’organizzazionecomunitaria, la ekklêsia,un’organizazione con un corpo di credenze e di pratiche. La novità strutturaleconsiste nel fatto che al rapporto bilaterale Gesù-oikos si sostitusice un rapporto trilaterale: predicatore itinerante, ekklêsia, oikos.È una terza forma sociale, prima inesistente, che appare sulla scena: la ekklêsia.

            Laekklêsia, tuttavia, ha un’altra logicasociale rispetto al movimento di Gesù. La differenza fondamentale tra le chieseprimitive  e la forma socialescelta da Gesù sta nel venire meno del rapporto negli spazi non strutturati(interstiziali) che il movimento di Gesù instaurava con le forme sociali chestrutturano la società e soprattutto con l’oikos. Si può dire, in sintesi, che cambia la prassi divita e cambia l’intreccio organizzativo. Il cambiamento è subito radicale, masi evidenzia nella sua logica sociale solo gradatamente e per fasi.

 

8. I diversi cristianesimi cercanoin Gesù un fondamento

 

In conclusione, Gesù può intendersi nontanto come fondatore, ma come all’origine dei diversi tipi di cristianesimo, da due punti di vista differenti.Anzitutto, a lui, come origine, si sono rifatti i non Giudei che hanno visto inlui un salvatore universale, un essere divino incarnato, portatoredell’adorazione dell’unico Dio e di un’etica sublime, principio ditrasformazione morale e sociale. Certo il Gesù a cui questi non-Giudei fannoriferimento è un Gesù profondamente degiudaizzato. Ma vi è anche un altromotivo. All’inizio, il movimento era semplicemente un movimento di attesa delregno. Quanto più il regno tardava a venire, tanto più ci si concentrava suGesù stesso. È così quindi che il cristianesimo, religione dei non-Giudei,intende fondarsi proprio su di lui.

La miaconclusione è perciò che Gesù, più che fondatore in senso stretto, èall’origine di una molteplicità di tendenze le quali tutte, in modo diverso,cercarono di appellarsi a qualche aspetto della sua azione e del suo messaggio.

 

In sintesi

 

In queste pagine ho tentato di rappresentare in modoestremamente sintetico una serie di nove ipotesi che bisogna affrontare se sivuol cercare di rispondere alla domanda sul ruolo di Gesù nella nascita delcristianesimo.

 



[1] Unaversione più breve di questo saggio è stata pubblicata in francese: Jésus,fondateur du Christianisme?, «Histoire et Religions», 2008, 34-39. Le monografie su Gesù e lanascita del cristianesimo sono innumerevoli. Qui cito solo: M.Sachot, L’inventiondu Christ. Génèse d’une religion, Paris Odile Jacob, 1997 (tr.it.: La predicazione delCristo. Genesi di una religione, Torino,Einaudi, 1999); P. Maraval et S. C. Mimouni, Le christianisme: Desorigines à Constantin, Paris, PUF, 2006.Vedi anche Come è nato il cristianesimo?, numero monografico della rivistaAnnali di Storia dell’Esegesi 21 (2004), Bologna, Edizioni Dehoniane. Hoaccennato ad alcune opere fondamentali degli ultimi dieci anni, in: Quando nasce il cristianesimo? Aspetti dell’attualedibattito storiografico e uso delle fonti,«Annali di Storia dell’Esegesi» 20 (2003) 39-56 e in Come studiare lanascita del cristianesimo. Alcuni punti di vista, in Dario Garriba e SergioTanzarella (eds.), Giudei o cristiani? Quando nasce il cristianesimo?, Trapani, Il Pozzo di Giacobbe,2005, 29-51. Cf. anche A.Destro – M.Pesce, Come è natoil cristianesimo,«Annali di Storia dell’Esegesi» 21 (2004) 529-556.

[2] Questa è laprima tesi-ipotesi di queste pagine.

[3] Cf. a questoproposito quanto già detto nel cap. 2.

[4]Nonostante le molteplici monografie e articoli pubblicati negli ultimicinquanta anni, vorrei ricordare che un’ottima rappresentazione delle diverseinterpretazioni dell’escatologia di Gesù si trova ancora in R. Schnackenburg, Gottes Herrschaft und Reich. Eine biblisch-theologischeStudie, Freiburg, Herder, 1965 (4aedizione) (tr. it. Signoria e Regno di Dio, Bologna, Il Mulino, 1971). Vi sono libri che non tramontano e mi fapiacere ricordare un’opera che per me ha avuto un significato particolare quasimezzo secolo fa. Schnackenburg pensava ditrovare una soluzione nella distinzione tra Herrschaft e Reich Gottes,tra signoria e regno, e nell’attribuzione a Gesù soprattutto della funzione,prima dell’avvento del giudizio finale e del regno, dell’offerta del perdono.

[5]Sul già e il non ancora del regno di Dioin Gesù cfr. G.Theissen-A.Merz, Der historische Jesus. Ein Lehrbuch, Göttingen, Vandenhoek und Ruprecht, 1985.

[6] A meno chenon si pensi che il regno di Dio consista nel potere che Gesù possiede o nelpotere che ogni singolo uomo ha di regnare sul male in se stesso (come sembrapensare il Vangelo di Tommaso 3). Ma lapredicazione di Gesù mantiene sempre l’idea di un rivolgimento storico esociale radicale (cfr. le Beatitudini, soprattutto nella versione di Luca). Che gesù ritenga di avere da Dio un poteretaumaturgico conferma la sua funzione di preparatore del regno futuro.

[7] Sull’ebraicità di Gesù: E.P.Sanders, Gesù eil Giudaismo, Genova, Marietti, 1995 (ed.or. Jesus and Judaism, SCMLondon,.

[8] J.Jeremias, Jesus Verheissung für dieVölker, Franz Delitzsch-Vorlesungen 1953,Stuttgart 1956.

[9]La frase di Mt 16,16-19 è redazionale. Anzitutto, il termine ekklêsia si trova solo due volte in bocca a Gesù e solo in Matteo, qui e in un brano (Mt 18,17) che riflettecertamente un’organizzazione comunitaria impossibile ai tempi di Gesù. Insecondo luogo, Matteoconsapevolmente parla al futuro: Gesù dice: edificherò la mia ekklêsia. E comunque non c’è neppure in Matteo un’identificazione tra regno e ekklêsia.

[10] Questa è la seconda tesi-ipotesi diqueste pagine. Con questa ipotesi vorrei spingere la riflessione a prendere unadecisione circa il tipo di concezione a cui Gesù fa riferimento quando parla diregno di Dio. Nella ricerca attuale e passata  sono state presentate diverse ipotesi (non ho qui intenzionedi richiamare l’amplissimo dibattito, cito solo come esempio di opinionedifferente: M.Hengel - A.M.Schwemer (eds.), Königsherrschaft Gottes und himmlischer Kult im Judentum, Urchristentumund inder hellenistischen Welt, Mohr, Tübingen, 1991). A sembra più convincente fare appello al librodi Daniele perché esso offre una interpretazione dei rapporti tra Israele e ladominazione territoriale dei non-Giudei. In L’uomo Gesù, p.208 Adriana Destro ed io abbiamoipotizzato «Gesù era un ebreo che rimase estraneo alle aspirazioni e ai modi divita introdotti dalla romanizzazione. Di fronte alla potenza culturale di Romafece appello all’elemento più intimo e più forte della sua cultura, cioèall’idea del potere assoluto del Dio giudaico e alla necessità che Dio regnasseprendendo possesso di tutta la terra».

[11]E’ vero che nel Libro diDaniele vi sonodiverse concezioni del regno di Dio. Daniele 1–6 parla dello schema dei quattroregni a cui succederà un regno di Dio terreno (Dan 2:44; cf. Dan 7). In Dan 4,25sembra parlare di un regno di Dio di tipo diverso, un regno eterno che èsuperiore a qualsiasi regno umano. Infine, in 7-12  riappare lo schema dei quattro regni seguiti dal quintoregno terno che però è attribuito da Dio al Figlio dell’Uomo. Daniele quindi offre uno schema perinterpretare il rapporto tra i gentili e Israele in cui finalmente Dio prenderàpossesso della terra e offre al giudeo la speranza di un dominio universalesenza fine. Daniele offre al lettore una visione degli ultimi tempi in cuivenga finalmente risolta la contraddizione del dominio dei Gentili su Israele(che sembra smentire la verità del Dio di Israele).  Anche il I Libro di Enoch presenta una visone dela storiafinale, l’idea del regno di Dio e la funzione regale e/o messianica del Figliodell’Uomo. Ma queste idee appaiono più disperse e meno unitariamente fuse inuna chiare visione della storia universale. In 1 Enoch 1-36 (cosiddetto librodei Vigilanti) si parla di Dio re in un periodo finale paradisiaco (9:4; 25:7; 12:3; 25:3–5; 27:3). Anche In 1 Enoch 84,42–90 Dio è re della terra oltre che di tuttol’universo. In 1 Enoch 90,20 abbiamo ilgiudizio finale di Dio, il trono di Dio nella terra di Israele e unatrasformazione della terra che sembra implicare la risurrezione. Cf. anche 1En. 93,1–10; 91,12–17). Infine nel Libro delle parabole il Signore degliSpiriti intronizza il Figlio dell’Uomo (68,1; 62,5; cf. 69,29), che ha funzionedi messia, re, giudice e distruggerà tutti i re della terra (46,4–5; 48,4–5;62–63). Mi sembra che, molto più del I Enoch il libro di Daniele offrisse unquadro generale per situare le speranze religiose di Israele in un contestopolitico.

[12] Cf. sopraCap. 1, p. 38-46.

[13]M.Pesce, Le parole dimenticate di Gesù,Milano, Lorenzo Valla, 2004, 309.705

[14] Giustino crede in un periodo di«mille anni in una Gerusalemme ricostruita», Dialogo con Trifone, 80,5. Cfr. Philippe Bobichon, JustinMartyr. Dialogue avec Thryphon. Édition critique, traduction, commentaire, 2 voll., Fribourg, Academic PressFribourg, 2003, pp. 965-68. Anche gli ebioniti attendevano un regno millenarioe così pure un personaggio come Cerinto, di cui ci parlano varie testimonianzecristiane.

[15] Questa è la terza tesi-ipotesi di questepagine.

[16] Questa è la quarta tesi-ipotesi di questepagine.

[17] Questa è laquinta tesi-ipotesi di queste pagine.

[18]Su Giustino e l’immagine dei Giudei cfr. J.Lieu, Image and Reality. The Jewsin the World of the Christians in the Second Century, Edinburgh, T&T Clark, 1996, 103-153.

[19] Vedi iframmenti in F.Bovon - P.Geoltrain, Écrits apocryphes chrétiens. I, Paris Gallimard, 1997, 12-22. M. Cambe, KerygmaPetri (Corpus christianorum. Seriesapocryporum 15), Turnhout, Brepols, 2003.

[20] Non a casoMt 28,19-20 è una parola che Matteoattribuisce al Gesù risorto, non alla predicazione di Gesù. Anche Paolo si rifàad una rivelazione diretta del Gesù elevato al cielo (Gal 2,7).

[21] Questa è lasesta tesi-ipotesi di queste pagine.

[22] Questa è lasettima tesi-ipotesi di queste pagine.

[23] VediR.Penna, Lettera ai Romani. Vol. I,Bologna EDB, commento su Rom 4, 24-25 («consegnato per i nostri peccatirisuscitato per la nostra giustificazione»), pp. 406-414.

[24] Cfr. A.Destro-M.Pesce, Come nasce unareligione. Antropologia e esegesi del Vangelo di Giovanni, Bari-Roma, Laterza, 2000.

[25] Questa è laottava tesi-ipotesi di queste pagine.

[26] A.Destro - M.Pesce, “Continuity orDiscontinuity Between Jesus and Groups of his Followers? Practices of Contactwith the Supernatural”, In S.Guijarro-Oporto (ed.), Los comienzos delcristianismo,Bibliotheca Salmaticensis. Estudios 284, Universidad Pontificia de Salamanca,2006, 53-70.

[27]In questo paragrafo ripeto frasi e teorie chenon sono mie, ma del lavoro congiunto di Adriana Destro e mio nel libro L’uomoGesù e nell’articolo di prossimapubblicazione Inside and outside theHouses.  Changes in the role of womenfrom Jesus Movement to Early Christian Churches.

[28] Questa è lanona tesi-ipotesi di queste pagine.

[29]Destro-Pesce, L’Uomo Gesù, 94-96.

[30] J.Gnilka, IlVangelo di Matteo. Parte Seconda, Brescia,Paideia, pp.75-123.

[31]Destro-Pesce, Inside and outside the Houses.  Changes in the role of women from JesusMovement to Early Christian churches, articolo in corso di pubblicazione.