Bisogno di conoscere il Gesù storico in Italia

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Domanda a Mauro Pesce

Non ho capito bene quale importanza abbia per noi sapere se Gesù abbia desiderato, ad un certo momento della sua vita,  un destino diverso dalla sua morte. Sembra invece più importante dire se immaginasse la sua morte, ovvero se credesse che i piani di Dio prevedessero la sua fine, al di là della sua volontà. E’ questo un ragionamento plausibile che forse possa includere il Suo ragionamento e quello, non mio, ma di altri studiosi, sulla coscienza messianica di Gesù e la consapevolezza della sua missione, che non era quella di liberare la Palestina dagli invasori come un messia davidico, né di predicare semplicemente una dottrina morale ed ad annunciare il regno di  Dio, nel cui caso avrebbe ripetuto la stessa missione di un giovanni battista, o un maestro di giustizia.


Secondo studiosi come Giorgio Jossa, Gesù sapeva di essere il messia e di non esserlo nel senso “Davidico”.Quale tipo di missione credeva di dover compiere, dunque? Ha raccontato ai suoi discepoli che il figlio dell’uomo è venuto per dar la propria vita in riscatto per molti. Giorgio Jossa, come d’altra parte, una campana diversa, Israel Knohl, ne sono convinti. Come Lei ben sa, molti studiosi ritengono notoriamente che sia così. Ho letto anche che una delle fondamentali differenze che certi studiosi sottolineano per dire che il cristianesimo non è un particolare culto misterico ellenistico (J.M.A. Wedderburn), sta nel fatto che il messia cristiano si offre in sacrificio per gli altri, mentre le altre divinità pagane vengono assassinate atrocemente contro la loro volontà. Un’ulteriore motivo che mi convince a credere poi che sia Gesù ad essere coinvolto e non soltanto la comunità cristiana primitiva dalla scoperta del culto del messia figlio di Giuseppe è il seguente ragionamento: gli studiosi attribuiscono a Gesù una predicazione rivolta verso i poveri (leggo Giorgio Jossa, Paolo Siniscalco…), come nel discorso della montagna, danno proprio verità storica a questo. Ora io credo che i loro discorsi siano sensati, giustificati e giustificabili.


Però si è pure scoperto che c’è una comunità apocalittica “ebraica” precedente al cristianesimo che indicava se stesso con l’appellativo “i Poveri”, a Qumran, che ha scritto a favore dei poveri, che ha scritto per giunta il discorso della montagna/beatitudini col frammento 4Q525, che conserva non solo lo stesso argomento, non solo dei termini inusuali altrove nella bibbia coincidono a quelli di Matteo (per esempio i poveri in spirito) ma ha anche la stessa costruzione letteraria ( Beati i poveri… Beati i… Beati…).Tutto prima di Cristo (leggo Craig Evans). Ora, allo stesso modo, si potrebbe credere che tali discorsi siano stati attribuiti a Gesù dalla comunità primitiva, che conosceva questa letteratura apocalittica. Oppure credere che Gesù fosse un apocalittico, che conosceva una simile letteratura (come in Bart Ehrman).



Cosa si può dunque realmente affermare di Gesù, se con le scoperte archeologiche si pre-datano sia gli insegnamenti morali, che quelli dottrinali? Dire che abbia parlato a favore dei poveri, è un conto, dire che abbia fatto il discorso della montagna implica la conoscenza della letteratura apocalittica, forse. Il discorso della montagna/beatitudini è presente in ben tre vangeli: Tommaso, Luca, Matteo, che si dicono indipendenti tra loro, e quindi sul pronunciamento di tale discorso, le tradizioni più antiche concorderebbero, forse. E dunque (ammettendo che la stele Hazon Gabriel sia autentica) arrivo a conclusione. Se Gesù è solo un predicatore che ha parlato “forse” a favore dei poveri e delle classi deboli, ed ha annunciato il regno di Dio al popolo di Israele come un Giovanni battista, ma non sapeva dei piani di Dio, del suo destino, e delle scritture che si dovevano compiere: Mi sembra che la religione cristiana si sarebbe sviluppata lo  stesso anche senza Gesù… data la tradizione testimoniata dalla stele, data la tradizione dei rotoli di qumran col discorso delle beatitudini nel rotolo 4Q525 a favore dei poveri, l’attesa del regno,la pre-esistenza dell’interpretazione messianica del servo sofferente, la parusia,l’uso dei dei titoli messianici di figlio di Dio e  figlio dell’uomo con significato messianico nel rotolo 4Q246 (leggo Emilio Salvatore nel saggio “Il messianismo di Gesù, immagini pre-kerigmatiche”, nella raccolta “Gesù ed i messia di Israele”,a cura di Annalisa Guida e Marco Vitelli)… e poi la bibbia dei Settanta ad Alessandria, con l’esplicitazione di certi passi nella loro interpretazione messianica presenti secoli prima del cristianesimo anche a Qumran, che si discostano dal tradizionale testo ebraico. I tempi erano maturi, il contatto col mondo ellenistico anche misterico, frequente forse prima di Cristo… Il peccato originale dunque, secondo Pier Franco Beatrice proviene da ambienti non giudaici, così il Dio morente e mediatore, e via via gli altri dogmi. Le speculazioni teologiche sul messia di Israele sono partite senza di lui, e sono continuate senza di lui con Giovanni per esempio, nel concepire la figura del Verbo di Dio prima di tutti i secoli, secondo l’interpretazione allegorica della genesi sviluppatasi in ambienti vicini al pensiero di Filone di Alessandria... E Gesù sembra un po’ un brigante che i Romani giustiziarono perché si proclamò il re dei Giudei. Se invece Gesù sapeva ciò a cui andava incontro, e si sentiva un “messia catastrofico”, secondo il linguaggio coniato dal Prof. Knohl, servo sofferente, che parlava ai poveri, sembra che moltissime cose già esistevano così. Non è stato molto originale. Non poteva inventare da solo:  una tradizione che esisteva proprio nella sua regione già da tempo, in maniera tanto calzante.



Risposta di Mauro Pesce

            1. Ho citato quasi integralmente la domanda (anzi la serie di domande e riflessioni) che il lettore mi pone ancora una volta, perché mi sembra una testimonianza eccellente dell’interesse esistente in Italia per una conoscenza approfondita di Gesù e delle origini cristiane. Certo, l’autore di queste riflessioni ha certamente studiato presso un’università e ha avuto per maestri degli specialisti che non hanno nascosto i problemi sotto il manto di una teologia paternalista. Forse ha fatto anche una tesi di laurea. Ma è sintomo di problematiche troviamo in molti luoghi (basta frequentare qualcuno dei diversi siti seri dove non specialisti - ma tuttavia amanti di letture accurate - discutono di queste cose, nei quali verificahiamo sempre lo scontro tra coloro che difendono a qualsissi costo le dottrine ufficiali e quelli che invece cercano un percorso di conoscenza).

            Le risposte a queste domande non le può dare l’esegesi che la chiesa cattolica ha promosso con più insistenza negli ultimi trenta anni e cioè l’esegesi puramente letteraria dei testi (ad esempio quella retorica) o quella narrativa. Questo tipo di esegesi è senza armi di fronte al problema storico posto dalla differenza tra i vangeli e dal fatto che molte fra le concezioni e le pratiche religiose di Gesù e dei suoi primi seguaci si ritrovano anche nel giudaismo del tempo e nelle forme religiose greco-romane coeve.

            Di fronte alla divergenza tra i vangeli nel riportare un atto o una parola di Gesù è giocoforza domandarsi - se si ha responsabilità e serietà morale e intellettuale - cosa effettivamente abbia detto e fatto Gesù. Limitarsi a capire la strategia narrativa degli autori dei vangeli  - pur utile - non serve a rispondere alla domanda: Gesù ha fatto e detto quello che dice Matteo o quello che dice Luca? Quello che dice Marco o quello che dice ilVangelo di Tommaso? O forse tutti hanno trasformato narrando, sia gli evangelisti - dico- sia i loro informatori. Insomma, la cultura esegetica italiana media (ovviamnete sono molte le eccezioni lodevoli) è arretarata perché non ha voluto porsi il problema storico, con la speranza di allontanare i fedeli (ritenuti incapaci di ragionare con la propria testa) da problemi pensati come pericolosi per la fede.

            Quindi le mie prime risposte sono di carattere generale:

a. esiste in Italia oggi un grande bisogno di sapere;

b. l’esegesi letteraia e narrativa è incapace di rispondere a questi problemi ed è piuttosto funzionale ad un loro occultamento.

            2. Il mio modo di rispondere al grande problema storico: chi credeva di essere Gesù (questa è la domanda in sostanza che mi è stata posta) è quello di guardare soprattutto alla sua pratica di vita soprattutto quella religiosa. E in questa inserire le sue parole e i suoi atti. Questo almeno è quanto Adriana Destro ed io stiamo facendo e abbiamo fatto in L'Uomo Gesù. Sulla base della sua pratica religiosa vediamo che Gesù annunciava il regno di Dio, non la sua morte salvifica.

            Tuttavia, rimanere per un attimo solo sul piano delle idee (ma Gesù non è primariamente un teologo, un filosofo, un pensatore!!!) come fa il mio interlocutore:

1. Se le teorie di una presunta morte salvatrice sono state applicate a Gesù dalla chiesa primtiva sulla base di concezioni giudaiche o ellenistiche pre-esitenti allora ne deriva che la chiesa primitiva non era ispirata soprannaturalmente, ma procedeva ragionando come fanno tutti. E - soprattutto - la morte salvifica è una rielaborazizone della chiesa primitiva e non un pensiero di Gesù. E’ noto del resto che (fra gli scritti accettati dal III secolo in poi da un certo gruppo di chiese nel Nuovo Testamento) le interpretazioni della morte di Gesù sono MOLTE e divergenti fra loro (vedi Barth G.,Il significato della morte di Gesù L'interpretazione del Nuovo Testamento, Claudiana, Torino 1995).

2. Si ritorna così al problema del Gesù storico. Gesù, però, va studiato anzitutto in se stesso senza primariamente ridurlo al prima e al contesto: vediamo i testi storici utilizzabili per conoscere Gesù e sulla base di essi ricostruiamo il Gesù storico, POI poniamoci il problema del confronto con l’ambiente.

            La pratica di preghiera di Gesù ci aiuta ad entrare in qualche modo nella sua autocoscienza.