Pio XII e i suoi silenzi beatificati

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Pensieri - Auschwitz, Pio XII, e i problemi di una Chiesa
che non riconosce di aver taciuto


Donatella Di CesareLa scritta che dal giugno del 1940 segna l’ingresso del campo di Auschwitz, scomparsa lo scorso venerdì, è stata ritrovata dalla polizia polacca. Era stata tagliata in tre pezzi, uno per ogni parola: “Arbeit macht frei”. È evidente che non si tratta solo di “un atto di vandalismo” - come ha detto all’inizio il ministro polacco Andrzej Przewoznik. Piuttosto, e ben di più, il furto della scritta, in cui si condensa la storia del Novecento, è un attentato alla memoria.
I “profanatori” materiali sono stati rintracciati; ma occorre ora chiedersi chi siano i profanatori intellettuali e per così dire spirituali. La domanda sulle responsabilità è ineludibile. Negli ultimi anni si è data quasi per scontata la memoria - e la celebrazione della memoria. Al punto da interrogarsi su come dire e come rappresentare. Ma nel centro dell’Europa cristiana - e questo centro è in Polonia, nella Germania dell’est, ma anche in Spagna e a Roma - rimane un territorio, in espansione, refrattario alla memoria, desideroso di cancellare e rimuovere. E le modalità di cancellazione sono molte. Non solo il furto della scritta.
In un articolo intitolato “In nome di Edith” uscito qualche giorno fa in “Pagine ebraiche”, ho ripreso la poco discussa e molto discutibile questione della santificazione di Edith Stein. A questo proposito ho parlato di un articolo di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, docente all’università di Dresda, tra i nomi più prestigiosi della teologia cattolica in Germania. L’articolo del 2008 è intitolato: “Auschwitz senza fine?”. Mentre a ebrei come Jankélévitch viene imputato di nutrire solo “risentimento”, si aggiunge che “al cristiano” è dischiusa la possibilità di perdonare, anche il comandante di Auschwitz Rudolf Höss, perché il cristianesimo è “la fede il cui mistero suona: nell’assoluto c’è anche l’assoluzione”. Prese di posizione del genere non vengono smentite e non sono per nulla isolate. Al contrario: hanno il crisma dell’ufficialità.
La notizia della beatificazione di Pio XII va inserita in tale contesto: quello di una Chiesa che non riconosce di aver taciuto come istituzione, di non aver detto neppure una parola per impedire quello che è avvenuto. E per non ammettere le proprie responsabilità, la Chiesa procede su un doppio binario, per un verso cristianizzando la Shoah, per l’altro occultando i propri errori. Questo binario è pericolosissimo. Per la Chiesa stessa. Qui non si tratta solo del dialogo con gli ebrei che peraltro non ne hanno mai messo in dubbio l’esigenza. Ma per dialogare con gli altri bisogna dialogare con se stessi. È questo che la Chiesa non fa. E allora ci si deve interrogare preoccupati sul futuro del cristianesimo in Europa. Ha scritto Abraham Joshua Heschel che “l’ebraismo è il sentiero di Dio nel deserto dell’oblio”. Ma che ne sarà dei cristiani, lontani dall’ebraismo, lontani dalla memoria?.

Donatella Di Cesare, filosofa

La rassegna di oggi è dominata da due temi emersi nei giorni scorsi. Il primo è il furto della scritta metallica "Arbeit macht frei" che sovrastava l'ingresso di Auschwitz. L'insegna è stata ritrovata dalla polizia polacca, divisa in tre pezzi; cinque persone "fra i 20 e i 39 anni" sono state arrestate "nel nord del paese", dunque lontano da Auschwitz. Non si conosce al momento la loro identità né le loro motivazioni. (Maria Serene Natale sul Corriere, notizie anche sul Giornale e La Stampa). Va letta a proposito oggi certamente l'intervista allarmata di Shlomo Venezia su Repubblica. Prima di chiudere questo capitolo della rassegna stampa di oggi vorrei solo invitare i lettori a leggere un intervento di Moni Ovadia pubblicato sul Messaggero di sabato scorso e non segnalato allora per la sospensione dovuta allo Shabbat. Fra le molte decine di pezzi sull'argomento pubblicati da giornali di tutte le parti e di articolisti che sul mondo ebraico hanno posizioni diversissime, tutti di condanna e di sdegno, questa è l'unica voce dissonante. Vi si dice fra l'altro quanto segue "Quel luogo di dolore sta diventando il ricettacolo della falsa coscienza, il posto dove ricostruire con una visita delle identità presentabili, dove ricevere certificati di buona condotta che poi consentano di penalizzare i diversi di oggi, gli ebrei di oggi, cioè rom, i clandestini, gli extracomunitari, i lavoratori-schiavi. Di Auschwitz si fa ormai un uso strumentale. Anche da parte di certi politici israeliani, che insistono sulla necessità di non mutare i termini del discorso e mantengono in vita troppe divisioni, troppo odio." Non voglio commentare questo testo, essendo stato amico di Moni Ovadia lo trovo personalmente insopportabile come una ferita personale. Lo voglio solo indicare ai lettori come un esempio del punto cui può portare la prevalenza dell'ideologia politica sull'amore per Israele.
Da segnalare, in relazione a questo tema, se non si crede con il titolista della Stampa che si sia trattato di semplice "vandalismo", l'inchiesta di Paolo Berizzi su Repubblica che tenta una mappa dei gruppi neonazisti europei.
 
L'altro tema su cui si concentra la stampa è la nomina di Pio XII a "venerabile" ad opera di papa Ratzinger. Tutto il mondo ebraico è unito nei termini espressi ieri dal vertice dell'ebraismo italiano: i processi di canonizzazione sono un affare interno alla Chiesa, ma la santificazione di un personaggio storico implica un giudizio sulla sua azione storica, il mondo ebraico continua a giudicare che papa Pacelli non si sia opposto in maniera pubblica alla Shoà, né durante né dopo la sua esecuzione, e che quindi il suo comportamento non sia stato affatto esemplare, anche se dall'interno della Chiesa certamente arrivarono degli aiuti agli ebrei, e richiede infine l'apertura degli archivi vaticani per il periodo della guerra (Alberto Stabile su Repubblica, Jean Marie Guenois su Le Figaro Mora Miguel sul Pais). Così anche il governo israeliano (Salerno sul Messaggero, Adrien Jaulmes su Le Figaro). Sia Repubblica (Orazio La Rocca) che La Stampa (Galeazzi) giudicano a questo punto "a rischio" la visita del papa alla sinagoga di Roma prevista per il prossimo 17 gennaio, a causa dell'indignazione dominante nella comunità. Nel quadro rientra anche l'ennesima presa di posizione filopalestinese del Vaticano, con il papa che non ha trovato esempio migliore per spiegare che "il Natale non è una favola per bambini" che parlare della mancanza di pace di Betlemme, senza precisare che essa deriva da una scelta precisa di quei palestinesi che fra l'altro a Betlemme stanno emarginando progressivamente la comunità cristiana.
A difesa della posizione del papa si schiera come al solito Il Giornale ("analisi siglata AnTor, cronaca di Andrea Tornielli su un documento cattolico polemico nei confronti di comunismo e nazismo che sarebbe stato recentemente ritrovato) e naturalmente Padre Lombardi, portavoce della Santa sede in un'intervista al Corriere. Ridimensiona il tutto in una maniera così riduttiva da essere quasi offensiva il cardinale Kasper in un'intervista sulla Stampa, qualificando come "emotive" le posizioni ebraiche e invocando il ritorno del "buon senso". Serve a capire anche il dialogo, rispettoso ma polemico, fra Amos Luzzatto e Giovanni Reale sul Corriere a proposito dell'atteggiamento della Chiesa verso il mondo ebraico. Importante infine, per chi non conosce queste cose, la ricostruzione (Giorno-Carlino-Nazione) della deportazione del 16 ottobre 1943 a Roma di oltre 1200 ebrei, di cui Pio XII non fece mostra di essersi accorto, anche se avvenne praticamente sotto le sue finestre.

Dal sito delle comunità ebraiche italiane