Un libro al giorno, numero 2. Gianrico Carofiglio, Una mutevole verità .Einaudi 2014

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Un libro al giorno, numero 2.

Gianrico Carofiglio, Una mutevole verità (Stile libero, Big), Torino, Einaudi, 2014.

Una mutevole verità è un libro breve (118 pagine), appartiene al genere del giallo o forse meglio del noir, un racconto poliziesco che descrive un’indagine di un maresciallo dei carabinieri, che alla fine riesce a scoprire chi ha ucciso lo strozzino. Scritto molto bene, si legge con piacere tutto d’un fiato.

            Ma la cosa interessante - per me - non sta nel racconto in sé, ma nella teoria dell’indagine che Carofiglio intenzionalmente mette in bocca al maresciallo Fenoglio (anche il cognome è indovinato) in diversi punti del racconto. Anzitutto questo libro fa capire che il giallo in realtà non è solo un genere a sé, ma soggiace a molti aspetti della letteratura e della nostra stessa esperienza di ogni giorno. Sempre dobbiamo scoprire qualcosa che sta nascosto, che non sappiamo, e l’obiettivo del conoscere non è in realtà arrestare il colpevole, ma comprendere a fondo le ragioni delle cose, degli eventi e delle persone. Solo chi compie un’indagine corretta alla fine comprende la realtà, le persona che gli stanno accanto, il mistero che le spingono per anni a comportarsi in un modo e non nell’altro.

            Come deve essere compiuta correttamente un’indagine è un problema che mi ha tormentato per qualche anno mentre scrivevamo La Morte di Gesù. Indagine di un mistero (Rizzoli, 2014), un libro nato da un’idea di Adriana Destro di cui sono marito, un libro ideato da lei e in gran parte da lei strutturato e scritto. Ma io, come esegeta, ha interrogato a lungo i testi dei vangeli nei quali i fatti accaduti erano nascosti. In realtà, il libro l’ho comprato proprio perché qualcosa mi induceva a pensare che avrei potuto utilizzarlo per scoprire aspetti nuovi del come si conduce un’indagine. Nel nostro libro abbiamo parlato del metodo della ricerca delle tracce nascoste in un testo, un metodo che in qualche modo si rifà, sebbene in modo indiretto, ad un celebre saggio di Carlo Ginzburg. Questo nostro metodo di lettura dei vangeli lo abbiamo poi esposto in modo un po’ più sistematico in Il racconto e la scrittura, un volumetto sul metodo per leggere i vangeli che sa uscirà da Carocci editore in autunno.

            È perciò con una certa emozione che a pagina 21 mi è sembrato che Carofiglio intenzionalmente ripetesse proprio la teoria della ricerca delle tracce del saggio di Carlo Ginzburg Spie. Radici di un paradigma indiziario (in, Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi, 2000, 158-209; il saggio apparve per la prima volta nel 1979):

Il rischio … è di mettere a fuoco una coda soltanto, e di tralasciare ogni altro dettaglio, che magari è importante o addirittura decisivo. E lì c’era qualcosa fuori posto, che non era riuscito a identificare. Un’incoerenza, un elemento dissonante. La dote fondamentale dello sbirro è proprio questa, Fenoglio lo aveva sempre pensato. Andare alla ricerca delle discontinuità, delle note dissonanti. Percepire quello che agli altri sfugge: i piccoli oggetti mancanti, le posture innaturali, i gesti forzati, i lievi affanni, i rossori, gli sguardi che sfuggono o indugiano troppo. Chi c’è e invece non dovrebbe esserci; chi va piano e invece dovrebbe andare veloce o chi va veloce e invece dovrebbe andare piano; chi si guarda attorno o chi sembra non guardare nulla; la loquacità eccessiva o il mutismo. Le regolarità alterate oppure esasperate. Le presenze o le assenze, come nel suo racconto preferito di Sherlock Holmes, Silver Blaze. […] Per tanti aspetti il bravo sbirro è come il bravo medico. In un caso come nell’altro è questione di una diversa capacità di percepire. Vista, certo. Ma anche udito, tatto. Olfatto”.

 

La citazione di Sherlock Holmes, così importante nella teoria di Ginzburg, non può essere un caso. Carofiglio torna più volte sul metodo dell’indagine, quasi a farne il centro stesso del libro, o un altro centro che al racconto soggiace:

“- Secondo lei quali sono le doti più importanti che fanno un bravo investigatore?

- Prima di tutto questa […] Non avere paura di fare domande. Anche apparentemente ingenue. Agli altri ma anche a se stessi. Non bisogna dare niente per scontato.

- E poi?

- Bisogna allenarsi a osservare. Intendo dire, non solo con gli occhi. Bisogna tenere i sensi in funzione. Tutti. Guardare, ascoltare, toccare, anche annusare. Prendere nota[…]” (pag. 51).

“Certo che qualcosa non lo convinceva. Qualcosa che gli sfuggiva. Ne aveva avuto la percezione netta nel momento in cui era entrato in quella cucina, con il cadavere in un lago di sangue.

        E poi quella frase della ragazza. Si ricordò di aver letto che la credibilità di un teste è influenzata dal suo aspetto fisico, e che una persona attraente, imputata in un processo, ha più possibilità di essere assolta o di ricevere una pena mite, rispetto a una persona normale o addirittura brutta. Lo aveva messo a disagio pensare che il ragionamento razionale dell’investigatore o quello del giudice potessero essere inquinati da fattori del genere” (pag. 57).

 

“- Sai qual è il lavoro che assomiglia di più a quello dell’investigatore[…]

- Il medico, ho letto da qualche parte. Loro fanno le diagnosi [sempre su dati indiziari! Lo diceva Ginzburg se non ricordo male], noi le ipotesi investigative.

- Anche quello, in effetti. Fai un’ipitesi e cerchi di verificarla. Però questa fase arriva quando sei riuscito a formularla, l’ipotesi. Allora ti poni il problema di come verificarla” (pag. 92).

Ma Carofiglio è interessato non solo al metodo dell’indagine, ma al come si costruiscono i racconti. Ed è qui che il mio interesse per le indagini sui racconti dei vangeli mi ha spinto ad essere attento a quello che Carofiglio dice, perché sta parlando del come egli stesso costruisce un racconto:

“E dunque il nostro problema, come ti dicevo, è più simile a quello di uno scrittore che deve elaborare un buona storia. Plausibile. Non so se mi spiego.

[…]

Le indagini si occupano sempre di un fatto passato. Giusto? […] Per cercare di ricostruire cosa è successo nel passato dobbiamo immaginarci una sequenza di fatti. Cioè, appunto, una storia. In altri termini: come potrebbero e sere andati i fatti [è Carofiglio stesso che mette il corsivo: qui c'è un accento]. Una storia plausibile deve includere gli elementi che abbiamo già e deve essere verificata attraverso la ricerca di nuovi elementi.

[…] Per risolvere i casi complicati bisogna essere capaci di costruire una storia, partendo dagli indizi disponibili, che contenga una spiegazione plausibile di tutti gli elementi che abbiamo. Ci vuole una certa dose di fantasia ed è un lavoro simile a quello dello scrittore. Una volta costruita questa storia, che è in sostanza un’ipotesi su come potrebbero essersi svolti i fatti, bisogna andare alla ricerca delle conferme.

 

Poi Carifiglio scrive una cosa importante, importante per la nostra ricerca delle tracce nascoste nei vangeli, penso io:

“Se l’ipotesi sembra confermata dai nostri accertamenti, dobbiamo proseguire in maniera controintuitiva. Cioè cercare eventuali elementi che la contraddicano (sottolineatura mia). […] Il rischio di avere una buona ipotesi di spiegare dei fatti è che questa ci piaccia troppo. Allora andiamo alla ricerca esclusivamente di quello che la conferma senza vedere quello che potrebbe smentirla. Questo magistrato mi diceva che per essere investigatori migliori, più efficaci, dovevamo ragionare come se fossimo stati gli avvocati delle persone su cui stavamo indagando.

Significa che dobbiamo cercare i punti deboli delle nostre ipotesi. Una volta che li abbiamo trovati dobbiamo verificare se possono essere rinforzati. Se ci riusciamo, forse l’ipotesi che abbiamo è valida. Ma se non ci riusciamo, forse va abbandonata, perché non è davvero adatta a spiegare quello che è successo. La cosa peggiore che può fare un investigatore è innamorarsi della propria ipotesi, ignorandone le debolezze ed evitando deliberatamente di vedere gli elementi che la contraddicono” (pagg. 91-95).

 

 

Nel nostro libro La morte di Gesù, abbiamo fatto molte ipotesi e cercato gli elementi che potevano rafforzarle o contraddirle. Ad esempio: chi ha realmente seppellito Gesù? Chi realmente lo ha arrestato? Abbiamo delle ipotesi nuove e interessanti credo, basate su tracce nascoste nei racconti e nelle divergenze dei vangeli.