Il messaggio o la pratica di vita?

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Ho letto sulla rivista Il segno, di Palermo, la critica che Maria Cristiana laurenzi ha rivolto al libro L’uomo Gesù scritto da Adriana Destro e Lei. Non condivido la solita obiezione che per capire Gesù sia necessario partire dal suo presunto senso di figliolanza rispetto a Dio Padre. Ma l’osservazione secondo la quale voi trascurate il messaggio di Gesù, per parlare solo della sua pratica di vita mi sembra molto interessante.

Lettera firmata

Mauro Pesce risponde

La critica, molto garbata e profonda della Laurenzi, l’abbiamo letta anche noi e abbiamo risposto sempre sulla rivista Il Segno nel numero di ottobre che sta ora per uscire.

Uno degli intenti fondamentali del nostro libro è mostrare che è possibile una ricostruzione storica della figura di Gesù se ci si basa su un elemento che a nostro parere è difficilmente contestabile: la pratica di vita. Si è a lungo dibattuto se sia possibile o no una ricostruzione storica della figura di Gesù, posto che le fonti che ce ne parlano sembrano a molti fondamentalmente inficiate da convinzioni formatesi dopo la sua morte. E.P.Sanders più di vent’anni fa, partiva con l’accettare il fatto che una ricostruzione storica basata solo sulle parole attribuite a Gesù nei vangeli non costituiva un base storica sicura, perché le parole erano state troppo fortemente modificate dalla tradizione successiva. Sanders proponeva di basarsi quindi sull’esame delle azioni più sicuramente attribuibili a Gesù. Ne fece un elenco e stabilì anche una scala di attendibilità storica. Noi sosteniamo che una ricostruzione delle fisionomia storica di Gesù è possibile. E questo è già un elemento centrale del nostro libro. Ma, sulla base di una visione che proviene dall’antropologia culturale alla quale Sanders non era particolarmente sensibile, sosteniamo che questa possibilità di ricostruzione storica è data dalla pratica di vita, non dalle semplici azioni.

            Maria Cristina Laurenzi ci sembra che fraintenda il concetto di pratica e lo banalizzi un po’ riducendolo a «gli aspetti della quotidianità» (pag.47) o a «comportamento» (pag. 52) del quale sembra avere un’idea quasi dispregiativa, chiamandolo “l’immediato” (pag. 51) (la virgolettatura è della Laurenzi). E si domanda «Cosa dunque aggiungono gli aspetti di quotidianità al messaggio di Gesù?» (pag. 47). Ci sembra che questa domanda tralasci di porsi il problema da cui nasce il libro e cioè quale sia la base più sicura per una ricostruzione storica di Gesù. Il nostro libro cerca di porre basi criticamente sicure per rispondere a questa domanda. Laurenzi sembra presupporre che si sia tutti d’accordo su quale sia il messaggio di Gesù, quando invece l’accordo non c’è. Molti si domandano infatti se sia quello del Vangelo di Tommaso o quello della Didachè, quello di Marco o quello di Matteo, o di Giovanni, o quello che gli attribuisce Paolo. Per ricostruire questo messaggio sarebbero necessarie centinaia e centinaia di pagine. Il nostro libro non è opera di chiarificazione pastorale e teologica su dati assodati. Cerchiamo di porre le fondamenta per una ricostruzione attendibile della figura di Gesù. E a questo scopo mettiamo tra parentesi il messaggio, per quanto è possibile, per vedere quale fisionomia storica emerga dai testi, se ci si basa sull’analisi della sola pratica di vita.

La specificità di Gesù sta nell’avere posto in essere una pratica di vita che necessariamente crea messaggi e azioni. In questo modo, crediamo di avere dato indirettamente anche un contributo teologico rilevante. Una teologia cristiana non può proporre una dottrina cristiana se prima non ha proposto la pratica di vita di Gesù. Idee staccate dalla pratica di vita di Gesù non sono di Gesù.  

Se averemo tempo e capacità pensiamo di scrivere in fututo sul messaggio di Gesù. Ma il messaggio non è in contraddizione con la sua pratica di vita e può essere compreso solo a parire da essa.