Gesù pensava ad un paradiso in terrà?

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Domanda per Mauro Pesce:

ho letto e studiato con attenzione la sua interessante risposta alla mia domanda sul luogo della ricomposizione dei corpi deceduti secondo il pensiero di Gesù.In base ai miei personali studi biblici, posso dirle che condivido alcune citazioni che ha fatto, in particolare Luca 23,43 e Apoc 2,7. In questi passi si parla del paradiso. In entrambi i passi è Gesù a parlare, perchè anche l'Apocalisse è una rivelazione che Gesù diede a Giovanni. In questi passi il termine greco tradotto in italiano Paradiso, non potrebbe dare l'idea che Gesù si riferisse al Paradiso che era sulla terra in origine ? Infatti il termine greco tradotto Paradiso significa giardino. Se così fosse, non potrebbe essere che Gesù pensasse che i corpi deceduti potessero essere ricomposti sulla terra in futuro, quando il proposito di Dio di farne un Paradiso sarà realizzato ? Non era questa la speranza del popolo ebraico espressa anche da Marta, sorella di Lazzaro quando parla della risurrezione in Giovanni 11,24 ? (vedere anche Salmo 37,29 e Matteo 5,5). Grazie per la sua ulteriore risposta.

Lettera firmata da GB

Mauro Pesce Risponde:

carissimo, introduco anzitutto una questione di carattere metodologico: si può parlare di quello che Gesù pensava se si è certi che i documenti che utilizziamo ci trasmettano davvero il pensiero del Gesù storico. Circa Luca 23,43 e Apoc 2,7, che  in entrambi i passi sia Gesù a parlare è questione che richiede lunga dimostrazione perchè la prima apparenza ci induce a dubitare. E’ questo che si deve dimostrare.

Quanto alla questione di un paradiso in terra o in cielo non credo che dipenda dal significato della parola paradiso, sulla cui collocazione il giudaismo ha conosciuto diverse risposte.

Credo che fra i criteri da adottare per la ricostruzione del Gesù storico sia necessario adottare un criterio che ci induce a non pensare che le teorie di Gesù vadano interpretate alla luce della teologia affermatasi in certe chiese dal II secolo in poi. Da questo punto di vista le correnti millenaristiche che immaginano un regno di Dio o un regno messianico terreno sono forse più in continuità con Gesù di quanto non lo siano le teorie spiritualistiche di Origene e successori. In L’Uomo Gesù, pagina 126 Adriana Destro e io abbiamo parlato di queste visioni millenaristiche, anche se brevemente (vedi il celebre passo in cui Ireneo le attribuisce a Gesù).

Accludo la formulazione del criterio di storicità di cui le parolo:

(5) Il criterio della non applicabilità a Gesù della cristologia dei secoli IV-V quando la storia della teologia dei secoli I,II e III mostra una forte divergenza di posizioni e una differenza rispetto alle soluzioni del IV-V secolo.

Prenderemo come esempio la cristologia dell’ Ascensione di Isaia e del prologo del Vangelo di Giovanni, sostanzialmente coeve. Non c’è dubbio che nel prologo del Vangelo di Giovanni ci si trovi di fronte ad una cristologia cosiddetta “alta” o “discendente” che cioè ritiene che Gesù possedesse già prima della nascita una dignità sovraumana. Egli viene considerato come incarnazione del Logos e il Logos è avvicinato molto alla divinità. La lettura storica dei documenti del tempo, tuttavia, non permette di leggere questo documento come se fosse del tutto identico alle definizioni concettuali del dogma di Nicea ed in particolare alla definizione della consustanzialità del Figlio con il Padre. Se leggiamo un importante articolo di Manlio Simonetti sulla cristologia tra fine dell’inizio del II secolo, in cui Simonetti cerca di collocare storicamente la cristologia presente nell’Ascensione di Isaia, la molteplicità di concezioni sulla natura del Gesù pre-esistente ci dice che le idea di logos, di angelo, di “diletto” sono diversi modi di concepire la dignità soprannaturale di pre-esistente di Gesù, ma che nessuna di queste concezioni coincide con quella di Nicea. Per di più gli studi di storia della cristologia di Manlio Simonetti hanno messo bene in luce che fino alla fine del II secolo la cristologia alta non era maggioritaria nel primo cristianesimo.[1] Tutto questo ci deve rendere molto cauti a proiettare su tutti i testi del primo cristianesimo, sui vangeli e su Gesù stesso le concezioni della cristologia alta di Nicea.

Un’altro esempio: quello del millenarismo. Per almeno due secoli l’idea di regno di Dio è stata interpretata in senso millenaristico (come dimostra Apocalisse 16,16; 19,6-8, 20,2-3; 20, 7-10; Giustino, Dialogo 80,1-5; 81,1-4[2] e Ireneo, Adv Haer. V, 33,3[3]). Ciò significa che non possiamo considerare l’interpretazione spiritualizzante del concetto di regno di Dio che si afferma poi con la teologia del III secolo come corrispondente alla concezione di Gesù. Il fatto che la teologia successiva abbia abbandonato il millenarismo non significa che il millenarismo non offra un’interpretazione plausibile del messaggio di Gesù.

La conoscenza della teologia, della pratica religiosa e delle istituzioni cristiane del I e del II secolo permette di essere consapevoli della discontinuità tra la teologia dei secoli IV-VI con le correnti religiose cristiane antecedenti e questo obbliga a non interpretare Gesù alla luce degli assetti dottrinali, istituzionali ed etico liturgici dei secoli IV-VI.

Se perciò Gesù non va automaticamente letto alla luce del cristianesimo del IV-VI secolo, ciò significa che è necessario ricostruire la sua figura storica in base ad un diverso contesto.

 


[1] M. Simonetti, Ortodossia ed Eresia tra I e II secolo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1994; Id., Studi sulla cristologia del II e del III secolo, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 1993.

[2] Cfr. Ph. Bobichon, Justin Martyr, Dialogue avec Tryphon. Édition critique, traduction, commentare, vol. II, Academic Press, Fribourg 2003, pp.965-968.

[3] M. Pesce, Le parole dimenticate di Gesù, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2004, pp. 309.705.