Il Gesù storico e l'illuminismo, riflessioni in relazione a G.Segalla

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"Illuminismo" inteso come negazione della fede dogmatica, categoria applicabile alla ricerca sul Gesù storico? Riflessioni in occasione del libro di Giuseppe Segalla, La ricerca sul Gesù storico (GTG, 345), Brescia, Queriniana, 2010.

1. Giuseppe Segalla è stato uno dei migliori esegeti italiani nel campo degli studi neotestamentari. Ho sempre avuto grande stima del suo lavoro e in particolar modo per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni. Un grande merito di Segalla è stato sempre di seguire con molta cura la letteratura esegetica internazionale in una serie ininterrotta di recensioni e saggi critici. Una virtù che da noi in Italia è stata di pochi. Questa forte attenzione a leggere accuratamente le principali opere esegetiche man mano che erano pubblicate è ciò che gli ha permesso di pubblicare questo libro - di poco meno di 250 pagine - che si propone come una sintesi storica e valutazione metodologica e ermeneutica di tutta la ricerca sul Gesù storico. Su questo argomento egli aveva già pubblicato un libro più ampio (428 pagine): Sulle tracce di Gesù. La "Terza ricerca", Assisi, Cittadella Editrice, 2006.  L'attenzione di Segalla alla produzione esegetica internazionale si riflette anche in questo libro che è molto utile soprattutto per le informazioni bibliografiche. L'informazione bibliografica di Segalla, però, non esauriente e troppo selettiva, ma - ripeto - comunque sempre utile,  appare  non di rado casuale e lacunosa su punti importanti. Ad esempio, ignora la importante bibliografia ragionata di G.Boccaccini, di cui non si può fare a meno: "Gesù ebreo e cristiano: Sviluppi e prospettive di ricerca sul Gesù storico in Italia dall'Ottocento a oggi", Henoch 29 (2007) 105-154. Per gli anni 2007-2010 la bibliografia di Federico Adinolfi, "Elenco di pubblicazioni sul Gesù storico apparse tra il  2007 e il 2010", pubblicata su Annali di Storia dell'Esegesi 27/2 (2010) 228-288, fornisce uno strumento molto più approfondito e sistematico che segnala circa 135 opere.

Con l'amico Segalla avevamo spesso modo di confrontarci e di scambiarci opinioni affettuose. Qui sono a volte costretto ad esprimere parere critico rispetto ad alcune sue affermazioni. Ma, del resto, è quello che sempre si fa rispetto a autori la cui opera rimane dopo la morte. E' con le opinioni di R.Bultmann, E.Buonaiuti, J.Weiss e infiniti altri che ci si confronta criticamente a volte in modo molto deciso, anche se purtroppo sono ormai scomparsi. E in questo modo essi sono sempre vivi per noi.

 

2. Complessivamente, il libro non si basa su una propria ricerca storica sull'evoluzione centenaria della ricerca ma su altre opere da cui recepisce i giudizi storici consueti. Da questo punto di vista non è un'opera di ricerca originale. Accetta l'impostazione ormai largamente superata dell'antico libro di Albert Schweitzer, ripete la solita idea che l'articolo del 1953 di E.Käsemann avrebbe "riaperto" "la questione del Gesù storico. In sostanza, la storia della ricerca è per lui costituita (a) da un  primo periodo che è quello delimitato da Schweitzer: da Reimarus a Wrede (che ignora con qualche eccezione tutto il resto della ricerca mondiale non protestante tedesca di orientamento critico);  (b) da un secondo periodo in cui la ricerca ricomincia nella scuola bultmanniana nel 1953 dopo il precedente rifiuto del maestro; (c) le nuove ricerche soprattutto statunitensi del Jesus Seminar. Su questi tre periodi Segalla costruisce i tre paradigmi.

Lo scopo del libro è, infatti, di ricondurre tutta la ricerca storica di circa 250 anni a tre paradigmi interpretativi che la condizionerebbero. Questi paradigmi sarebbero storicamente successivi: quello illuministico della prima ricerca dal 1778 al 1906; quello kerygmatico della nuova ricerca dal 1920  al 1950, e quello "giudaico post-moderno" della terza ricerca dal 1985 in poi. Questo schema lascia scoperti gli anni tra il 1906 e il 1953 e perciò Segalla è costretto a inserire un capitoletto di mezzo che significativamente si intitola: "tra il paradigma illuministico e l'inizio di quello kerygmatico" (pp. 87-101). Cinquanta anni di ricerca sono definiti come un "tra", e per essi Segalla non propone alcun paradigma. Egli, poi, riconduce ad un unico paradigma sia il Jesus Seminar sia J.Dunn e R.Bauckham che invece al Jesus Seminar si sono opposti sistematicamente sia dal punto di vista del metodo, sia dal punto di vista dell'impostazione ermeneutica, sia nei risultati.  Il problema è risolto piuttosto artificialmente costruendo un capitoletto finale a parte denominato "il secondo versante della Terza Ricerca: il Gesù ricordato e il Gesù testimoniato". Qui si palesa che Segalla segue due criteri non armonizzabili. Da un lato, segue una successione cronologica, dall'altro segue dei "paradigmi". Se il periodo cronologico da Reimarus a Wrede è sufficientemente chiaro, gli altri non lo sono. Dal mio punto di vista è chiaro che esiste una ricerca di tipo nuovo che inizia dopo la metà degli anni Settanta con G.Theissen, trova poi nel libro di E.P.Sanders, Gesù e il giudaismo, un altro momento forte per arrivare alla grande ricerca suscitata dal Jesus Seminar. Ma poi si manifesta una reazione conservatrice molto ampia e sistematica, accompagnata e seguita da una contro-reazione. In realtà, mancano tuttora studi approfonditi storici in grado di spiegare le diverse correnti di ricerca internazionale dalla metà degli anni Settanta ad oggi. Segalla, invece di fare lo sforzo analitico e poi sintetico di operare una ricostruzione storica convincente, ha cercato una scorciatoia, quella della classificazione  delle ricerche in base a "paradigmi", i quali però sono qualitativamente discontinui rispetto a una classificazione cronologica. Così la ricerca su Gesù di tipo sociologico-antropologico dal 1912 al 2008 viene chissà perché ricondotta al primo paradigma "illuministico", nonostante questo primo paradigma abbracci un periodo che finisce con il 1906 e nonostante queste ricerche abbiamo ben poco a che vedere, francamente, con l'illuminismo.

 Forse la tesi principale del libro è che "la ricerca di Gesù procede con una critica progressiva al suo interno: la critica della Nuova Ricerca alla prima Ricerca, la critica della Terza ricerca alla Nuova Ricerca". Ci sarebbe così una "falsificazione progressiva dei percorsi precedenti".  In questo modo, Segalla immagina che la ricerca successiva abbia criticato definitivamente il paradigma illuministico sostituito poi da quello kerygmatico e infine dalle posizioni neoconservatrici di Dunn e Bauckham. In sostanza, Segalla sembra abbracciare una visione della storia che dalla negazione della fede dogmatica e cristologica dell'illuminismo andrebbe verso un riconoscimento progressivo della continuità della fede cattolica con la figura storica di Gesù. Ma queste visioni evoluzionistiche progressive della storia sono ormai da molti decenni bandite dalla ricerca storica professionale.

Le parti più originali del libro a mio avviso sono quelle in cui Segalla presenta e in pratica recensisce in modo personale e intelligente alcune opere, ad esempio quelle di Dunn e di Bauckham (pp.161-197).  E' nel giudizio esegetico su singole opere che si trova il meglio di questo libro.

Mi soffermerò ora singoli punti in modo non sistematico.

3. Segalla segnala "l'opera di Thomas Chubb (1679-1747), un deista e moralista inglese che nel 1738 pubblicò The True Gospel of Jesus Christ Asserted,  in cui sosteneva che il vero messaggio di Gesù sarebbe stato la venuta imminente del regno di Dio e il vero vangelo consisterebbe nella buona notizia ai poveri" (p. 54). Spero che gli esegeti che vorranno segnalare quest'opera di Chubb ricordino, come dovrebbe fare qualunque studioso che si rispetti, che Segalla è stato forse il primo a introdurre la menzione di Chubb tra i biblisti italiani. Purtroppo vedo che ci si appropria disinvoltamente delle idee degli altri, senza dirlo. Come valutare, però, l'opera di Chubb? Mi sembra, infatti, che Segalla non presenti correttamente il pensiero di Chubb e mi domando da dove egli abbia tratto la sua informazione. Bisognerebbe fare  ricerche più accurate, alcune delle quali già disponibili.[1] "Thomas Chubb, che Charles J. Abbey e John H. Overton definisono un «illiterate man»,[2] cioè una persona senza formazione teologica ufficiale, pubblicò nel 1738 The true Gospel of Jesus Christ asserted. To which is added a short dissertation on Providence.[3] Vedo che la Library of the Congress possiede una edizione di questo libro che ha un sottotitolo molto istruttivo, perché già ne spiega l'intento: «The true Gospel of Jesus Christ asserted : wherein is shewn, what is and what is not that Gospel; what was the great and good end it was intended to serve; how it is excellently suited to answer that purpose; and how, or by what means, that end has in great measure been frustrated. Humbly offered to publick consideration, and in particular to all those who esteem themselves, or are esteemed by others, to be ministers of Jesus Christ, and preachers of his Gospel; and more especially to all those who have obtained the reputation of being the great defenders of Christianity».[4] L'opera suscitò subito delle reazioni contrarie, ad esempio da parte di Caleb Fleming,[5] Richard Parker,[6] Lawrence Jackson.[7] L'anno successivo, il 1739, Chubb pubblicò una riposta: The true Gospel of Jesus Christ vindicated and also Vindication of the Author's Short Disssertation on Providence,[8] che a sua volta provocò altre reazioni. Gorge Wightwick scrisse, ad esempio, Remarks on Mr Thomas Chubb's True gospel of Jesus Christ asserted and vindicated,[9] e così pure reagirono Henry Stebbing (1687-1763)[10] e James Bate (1703-1775).[11] Il che sta a dimostrare che non si possono studiare le opere innovative su Gesù senza il contesto di quelle più conservatrici. Nel dibattito, le posizioni e i metodi di analisi si trasformano da ambo le parti. La storia della ricostruzione storica di Gesù è storia di un dibattito con molti poli che coesistono nelle diverse aree geografiche, ecclesiastiche e culturali in genere.

Secondo Chubb il centro del messaggio di Gesù è che egli è venuto per salvare gli uomini di («E' venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto» Mt 18,11; cfr. Lc 9, 6; Gv 3, 16-17). «Posto che il grande progetto di Cristo e della rivelazione cristiana è di promuovere il bene futuro dell'umanità e non l'interesse di qualsiasi persona, in quanto quest'ultimo è soltanto connesso con il primo, la conseguenza è che tutte le volte che il nome o la rivelazione di Cristo è usata per rafforzare o portare avanti l'interesse temporale (sottolineatura di Chubb) di qualsiasi cristiano, o di qualsiasi setta o ordine o ceto di persone tra i cristiani, conferendo loro anche il più piccolo grado di potere temporale (sottolineatura di Chubb), si verifica chiaramente un abuso del nome e della rivelazione di Cristo». «Nessun cristiano in quanto cristiano e per il fatto di essere tale ha alcun potere coercitivo o giurisdizione sopra persone o proprietà di qualsiasi altro cristiano».[12]

In sostanza, la salvezza annunciata è essenzialmente escatologica, e ciò è strettamente legato alla negazione della funzione politica delle chiese. Ma il tema del regno di Dio, così fortemente presente in Th.Hobbes, è del tutto marginale. La questione dell'escatologia nella sua connessione con il tema politico permane quindi come caratteristica della ricerca su Gesù.

I cristiani in quanto tali non hanno nessun altro che Cristo al di sopra di loro. Tre sono gli elementi che caratterizzano il messaggio di Gesù. Primo, egli esige che venga osservata la legge di ragione; secondo, egli invita al pentimento in caso di trasgressione; terzo, annuncia un giudizio finale da parte di Dio in cui saranno puniti coloro che non hanno osservato la legge o non si sono pentiti dopo averla trasgredita.[13] La vita di Cristo è stata la rigorosa conformità dei suoi sentimenti e delle sue azioni a quella inalterabile regola di azione che è fondata nella ragione. Cristo «ha  predicato la sua stessa vita, per così dire, e ha vissuto la sua dottrina».[14] «Il vangelo di Gesù Cristo non è un racconto storico di eventi accaduti [an historical account of matter of fact]».[15] Questo vangelo essenziale è stato corrotto e pervertito da «molte dottrine assurde e pratiche superstiziose».[16] Chubb esamina a lungo le dottrine teologiche da considerarsi estranee al vangelo soprattutto relativamente alla grazia e alla salvezza. In sostanza, tutte le diverse teologie della giustificazione e della grazia vengono considerate come estranee al vangelo di Gesù. L'interpretazione e la prassi ecclesiastiche della chiesa antica sono considerate come una perversione del messaggio di Gesù.  L'operazione è resa possibile grazie alla scelta di basarsi solo sui vangeli e soprattutto su quello di Matteo, marginalizzando il pensiero di Paolo. Questo tentativo di riscoprire la verità del vangelo di Gesù, aldilà delle deformazioni teologiche e dei tradimenti della prassi delle chiese non ha lo scopo di una critica del messaggio cristiano, ma al contrario si propone una sua riscoperta e una sua risposta per seguire anche oggi l'autentico messaggio di Gesù.

Chubb propone quindi anche un modello di chiesa, di associazione cristiana che sia fedele alle indicazioni di Gesù. Egli ha voluto che le persone vivessero in società basate su rapporti amichevoli e prive di potere e non ha ordinato l'elezione di autorità ecclesiastiche. La pretesa cattolica di una successione ininterrotta che risale agli apostoli è infondata.[17] «La maggiore ingiuria che sia mai stata fatta contro il vangelo di Cristo è la fusione della società cristiana e di quella civile rendendole una stessa cosa».[18] Ancora una volta l'elemento politico diventa centrale nell'interrogazione sulla figura storica di Gesù e sulla natura del suo messaggio.

4. Il libro inizia con un'affermazione: "La ricerca del Gesù storico è un problema entrato nella modernità con l'ingresso trionfale della critica storica nello studio dei vangeli, a partire già dal XVIII secolo" (p.5).[19] Quest'affermazione è purtroppo inesatta. Come ho cercato altrove di mostrare, non è vero che la ricerca sul Gesù storico inizi con il XVIII secolo e con H. S. Reimarus. Questo è quello che si ritiene abbia sostenuto A.Schweitzer nella sua celebre ricerca sulla storia della ricerca sulla vita di Gesù. Ma si tratta di un'opera vecchia di un secolo e per di più limitata quasi solo a un certo tipo di produzione tedesca protestante. Segalla, che è persona fine, d'altra parte sembra accorgersi che il "deismo inglese" era già da tempo su questa linea ed è per questo che indica come esempio Thomas Chubb. Ma la vicenda storica è molto più antica e complessa.

5. Un punto su cui vorrei esprimere un parere critico è la concezione che Segalla esprime dell'illuminismo. La categoria "illuminismo", usata spesso in modo generico e non preciso, è da tempo adoperata in Italia da alcuni esegeti cattolici come simbolo negativo che starebbe all'origine di molti mali. Segalla purtroppo non aiuta a chiarire quest'uso approssimativo della categoria. Egli dedica il secondo capitolo a "Il paradigma illuministico della Prima Ricerca (1778-1906)". La "Prima ricerca" avrebbe quindi come "orizzonte culturale" l'illuminismo (p.54), così definito:

A fondamento filosofico dell'illuminismo stanno Descartes (1569-1650) e Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781). L'illuminismo polarizza la tensione tra fede e ragione illuminata, criterio ultimo di verità, e perciò anche quell[a] tra fede e storia. La scienza positiva, con i suoi grandi progressi, si scontrava con l'autorità e la tradizione (Copernico, Galileo).

René Descartes stabilisce la diversità radicale fra res extensa (realtà materiale) e res inextensa /cogitans (realtà spirituale). La sostanza estesa, materiale, è oggetto della ricerca scientifica, delle scienze esatte come la matematica e la fisica, basate sul metodo di ‘ipotesi-verifica'. La verità scientifica diveniva la verità per eccellenza. E la scienza storica del passato doveva aspirare alla stessa verità delle scienze esatte, come proponeva Ernst Troeltsch (1865-1923) con i tre principi della critica, ella correlazione e dell'analogia. Già G.B. Vico (1668-1744) aveva affermato Verum ipsum factum e il metodo approntato da Leopold Von Ranke (1795-1886) intendeva arrivare proprio al fatto, come e quando era avvenuto. Si passa quindi dal senso letterale della Riforma al senso storico della scienza positiva.

Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) mette in contrasto le verità di ragione, assolute , e le verità della storia, ipotetiche, con un'immagine diventata emblematica: «L'orrendo ampio fossato» che separa gli uomini delle epoche posteriori dall'evento di Gesù; tale fossato seco do lui non può essere superato. Fu lui a pubblicare, i sette frammenti di Reimarus come anonimi, dopo la sua morte, tra i quali è importante soprattutto il settimo, in cui parla dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli. Frammento considerato l'inizio della ricerca moderna.

 

Ciò che mi sembra inaccettabile è che si parli in 254 parole di un periodo che va da Copernico - la cui opera fondamentale postuma è del 1453 - alla morte di Troeltsch (1923), un arco temporale di circa cinque secoli dando giudizi su filosofia, storiografia e scienza. Mi domando: come è possibile che un esegeta che per tanti decenni ha esaminato il vangelo di Giovanni e i testi del Nuovo Testamento distinguendo il significato di ogni parola, ipotizzando strati diversi di redazione in uno stesso scritto, basandosi su ricerche filologiche ampie su ciascun termine e su statistiche lessicali, soffermandosi per decine e decine di pagine su piccoli segmenti di testi e valutando attentamente le diverse ipotesi interpretative degli esegeti su ciascuna piccolissima questione, pensi poi di potere abbracciare in poche righe mezzo millennio di sviluppo intellettuale moderno riducendolo ad una formula. Su ciascun autore menzionato da Segalla sarebbe stato necessario il lavoro esegetico che egli ha dedicato ai brevi testi greci del Nuovo Testamento. Ma se non mi sbaglio Segalla non ha mai dedicato libri e articoli scientifici né a Copernico, né a Galileo né a Cartesio, Lessing, Troeltsch, Vico e Ranke  Quasi nessuna delle affermazioni di Segalla corrisponde allo stato della ricerca. Non è vero che l'illuminismo si basi su Cartesio e Lessing, un accostamento difficile sia dal punto di vista temporale sia da quello dei contenuti. Come si fa, poi, a mettere in serie Cartesio e Vico quando - se c'è una cosa certa - è che egli "decisamente contrappose il proprio ideale storico del conoscere all'ideale matematico-scientifico della gnoseologia di Cartesio".[20] Sull'inquadramento storico di ciascuno degli autori di cui Segalla parla esiste un ampio dibattito per precisare il relativo inquadramento storico. Non ha giustificazione storiografica l'affermata dipendenza e/o corrispondenza tra Troeltsch e Cartesio. Ernest Renan, normalmente considerato un esemplare del positivismo applicato alla storia delle religioni è invece per Segalla "romantico". Certo c'è un periodo romantico in Renan, ma come si fa a ignorare il suo positivismo? Il tutto serve a Segalla per fondare la sua teoria interpretativa: la sua "prima ricerca sul Gesù storico" starebbe tutta all'interno del "paradigma" dell'illuminismo perché Reimarus è illuminista e l'illuminismo si oppone alla fede cristiana. Si apprende così che anche David Friedrich Strauss è illuminista:

"l'orizzonte ermeneutico in cui iscrive Strauss, come abbiamo detto, è l'illuminismo, in particolare l'idealismo e la logica dialettica hegeliana" (p.60).

Come si possa confondere illuminismo con idealismo hegeliano è difficile per me comprendere. Apprendo anche che perfino Celso è illuminista. Il suo sarebbe, infatti,

"un illuminismo critico che sarà ripreso con Reimarus nel 1778, all'inizio della critica moderna sul Gesù storico" (p. 16 nota 4).

 

E' chiaro allora che il concetto di illuminismo non ha più una precisa connotazione storica, ma tende a definirsi per opposizione a "fede" (ma quale delle molte fedi di duemila anni di cristianesimo?). Che questo sia il senso che gli attribuisce Segalla sembra evidente anche dalla osservazione seguente:

"L'interpretazione socio-politica e socio-culturale di Gesù si potrebbe inserire in questo prima paradigma [quello illuministico] nel senso di una fuga dalla fede dogmatica verso un orizzonte di ragione sociale di vario genere" (pp. 80-81).

 

Segalla poi conclude le osservazioni su "primo paradigma" scrivendo:

"La premessa di questa prima ricerca di una biografia di Gesù è la fuga dalla fede cristologica, che porta a un'emarginazione anche nelle fonti, selezionate spesso arbitrariamente" (p. 83).

Al posto dell'equazione "Illuminismo = fuga dalla fede dogmatica", avremmo invece bisogno di una definizione storica di illuminismo che solo gli specialisti di storia della filosofia e della cultura del XVIII secolo potranno darci. Paolo Casini è uno di questi specialisti. Un primissimo approccio, che consiglio a chi non ha mai fatto studi specialistici in materia, è di cominciare da una sua voce enciclopedica semplice, ma sicura dal punto di vista iniziale, in cui egli definisce il concetto storiografico:

Il termine 'illuminismo' (franc. Lumières, ingl. Enlightenment, ted. Aufklärung, sp. Ilustración) coincide all'incirca, nelle periodizzazioni della storia europea, con il Settecento, detto già dai contemporanei 'secolo dei Lumi' o 'secolo filosofico'. Sono controversi il termine a quo, sovente identificato con la crisi della coscienza europea della fine del XVII secolo, il termine ad quem, collocato di solito all'inizio della Rivoluzione francese, e la 'cesura' o 'continuità' tra Lumi e Rivoluzione. Le varie soluzioni date a tali problemi influenzano ovviamente l'uso che si fa del termine per definire, in senso più proprio ma non più rigoroso, gli aspetti 'idealtipici' dell'epoca: una concezione della ragione, un movimento etico-politico, un'ideologia, un modello di cultura. Una tradizione consolidata fa risalire l'inizio dell'itinerario dei Lumi all'avvento del regime costituzionale whig al di là della Manica, al movimento deistico, all'empirismo di Locke e alla scienza di Newton, al razionalismo e giusnaturalismo che aveva i suoi centri di diffusione in Olanda. Importate e assimilate dalla cultura francese tra gli anni della Reggenza (1715-1723) e la metà del Settecento, queste correnti si irradiarono variamente - sia come movimento di rinnovamento culturale, sia come programma di riforme dall'alto - nella penisola iberica, negli Stati italiani, nelle corti di Prussia, di Russia e d'Austria, sotto lo scettro dei despoti illuminati dalla philosophie.[21]

Si vedrà subito che l'illuminismo non è un fenomeno unitario e - cosa molto importante per il dibattito esegetico attuale - ci possono essere illuministi cristiani e quindi l'illuminismo in quanto tale non si oppone concettualmente a cristianesimo. 

Se si ripercorre la storia della formazione dei concetti filosofici di alcuni pensatori illuministi, si potrà anche ricondurli, come ad esempio fece M.Sina, alla formazione di concetti teologici e filosofici nel deismo inglese. Ma sarà estremamente importante rendersi conto che i concetti di "ragione" o "superiore alla ragione" non si formano in astratto, bensì nel contesto di una polemica anzitutto interna alle chiese e al loro eccessivo potere politico ed economico. Esigenza di un autentico cristianesimo, proposta di riforma delle chiese e critica moderata o radicale delle religioni sono elementi diversi che vanno distinti e graduati all'interno di ciascun autore.

Del resto, per un periodo successivo, Daniele Menozzi molti anni fa mostrò quanto importante fosse il richiamo alla figura storica di Gesù nei dibattiti della rivoluzione francese. Anche in questo caso le immagini di Gesù elaborate muovono quasi sempre da un'esigenza di riforma della chiesa nel contesto di un'adesione possibile a questa o quella corrente rivoluzionaria.[22]

In sostanza nel concetto di "illuminismo" di Segalla manca completamente una, se non la ragione fondamentale del formarsi di un pensiero critico verso le chiese in età moderna, come ho già più volte indicati in qualche scritto storico. E' per le guerre di religione che nasce un'analisi esegetica e storica dei testi in cui le diverse posizioni possano trovare un accordo, impossibile a livello dogmatico e politico. Gli intellettuali moderni sanno bene che le fedi disuniscono pericolosamente in Europa e altrove e che bisogna trovare a livello storico un accordo. Spinoza e Hobbes sono incomprensibili senza lo sfondo dello scandalo dei conflitti di religione. E lo sapeva bene un pensatore cattolico conservatore come Augusto del Noce. Se veramente si leggono le opere di Chubb, Toland e Locke si vede quanto è importante per loro il confronto tra i testi evangelici e degli Atti degli apostoli da un lato e il sistema dogmatico e istituzionale delle chiese dall'altro, sistema criticato anzitutto per la pretesa di ingerenza politica ed economica. Ridurre tutto ad un "illuminismo" contrario alla fede è una mistificazione che non corrisponde alla storia europea.

Una massa notevole di studi di storia dell'interpretazione della Bibbia, di storia delle chiese, di storia della filosofia e di storia della cultura dal XVI al XIX secolo sta a disposizione.

Ma poi Segalla introduce un secondo concetto: quello di "precomprensione":

"Il principio ermeneutico o precomprensione è vario: l'illuminismo razionalista o deismo all'inizio, l'idealismo hegeliano in Strauss, la teologia liberale nell'interpretazione di Gesù come genio religioso, l'apocalittica giudaica nell'interpretazione di escatologia futura, l'ambiente sociale e culturale che circonda Gesù come principio di comprensione della sua attività pubblica" (ivi).

Qui Segalla usa concetti molto diseguali dal punto di vista formale e che non possono essere messi sullo stesso piano. "Illuminismo razionalista" e "idealismo hegeliano" sono visioni filosofiche e capisco che ci si possa interrogare se un esegeta ne sia influenzato a tal punto da non rispettare i dati che emergono dalle fonti. Se, ad esempio, uno storico ritiene che da un punto di  vista filosofico o scientifico non possano esistere miracoli, sarebbe esegeticamente e storicamente errato che egli considerasse non storici tutti quei racconti in cui si parla di miracoli. L'unico motivo per considerare secondario un racconto evangelico deve essere di carattere esegetico: e cioè, ad esempio, se si dimostra che un certo racconto ha introdotto un miracolo su un precedente racconto che non ne parlava. Ma l'apocalittica giudaica non è una visione filosofica bensì un insieme di testi. E l'ambiente socio-culturale non è una visione del mondo, ma un insieme di dati culturali, politici, abitazionali, religiosi, sociali nei quali ciascun uomo e donna si muovono dalla nascita alla morte. Compito dello storico è di capire fino a che punto un contesto storico-sociale influenzi una persona o un gruppo. Gli storici sanno bene che a un medesimo contesto socio-culturale o socio-politico diverse persone o gruppi di una stessa città o villaggio possono reagire in maniera opposta o fortemente differenziata. La capacità dello storico sta nel comprendere se vi siano dati sufficienti che permettono di connettere determinate idee e/o comportamenti di una persona con una determinata situazione sociale. Ma questo ha poco a che fare con la ‘precomprensione'.

6. Nella categoria di studi condizionati dal "paradigma illuministico", Segalla mette insieme la scuola di Chicago, a partire da un libro del 1912, fino a G.Theissen,  R.Horsley, R.Aguirre, C.Gil, al libro di A. Destro - M. Pesce, L'uomo Gesù del 2008 e vari altri. In sostanza, Segalla crea una categoria che classifica libri di tempi diversi, orientamenti e risultati diversi e che si muovono con metodi di analisi differenti. Un libro del 1912 e uno del 2008 sono così ricondotti a un medesimo paradigma e fanno ambedue parte della "prima" ricerca. Mi sembra una categorizzazione insostenibile.  Non riesco a trovare motivo sufficiente per dire che R.Aguirre e  C.Gil (chiaramente inseriti in modo ortodosso all'interno della chiesa cattolica), o Theissen  (vedi il suo antico libro sul credere criticamente) avrebbero come paradigma "la fuga dalla fede dogmatica" e in che modo questo sia "illuminismo". Non corrisponde alla sostanza e al metodo dei loro libri.

7. Un altro aspetto del modo di pensare di Segalla sta nel fatto che non riesce a dare il giusto rilievo alla ricerca storica su Gesù da parte di ebrei. Non si tratta di conferire un paternalistico riconoscimento o di un atteggiamento politically correct, ma del fatto che, dalla fine del XVI secolo, l'interpretazione ebraica di Gesù diventa un elemento culturalmente determinante della ricerca. Purtroppo, l'ottica tutta teologica e intra-protestante tedesca ha impedito anche a Schweitzer di comprendere il ruolo culturale ebraico. Segalla scrive:

"In contrapposizione a questa corrente dell'epoca nazista, proprio nella stessa prima metà del Novecento si ha per la prima volta [sottolineatura mia] una serie di studi seri sul Gesù storico da parte di ebrei" (p. 95).

 

Stento a credere che sia stato Segalla a scrivere questa frase. Forse il libro non è stato da lui rivisto. E' nota a tutti, infatti, l'importanza del libro su Gesù dell'ebreo Joseph Salvador alla fine degli anni trenta del XIX secolo. Anche Baldassarre Labanca aveva parlato a sufficienza della ricezione italiana di quest'opera tradotta anche in tedesco. Gabriella Aragione lo aveva studiato recentemente in un suo articolo,[23] io stesso ne ho scritto più volte, e Francesca Sofia, un'eccezionale esperta di storia del pensiero del XIX secolo, ne ha scritto nel 2004 su Annali di Storia dell'esegesi. Segalla cita il libro di Susan Heschel, The Arian Jesus, ma sembra ignorare il precedente libro della Heschel: Abraham Geiger and Jewish Jesus.[24] La ricerca ebraica su Gesù in età moderna non è un elemento secondario e marginale, ma un fattore fondamentale - ricco di contributi  che non è qui il caso di analizzare - che influenza in modo essenziale la ricerca dei non ebrei. Come scrivevo tempo fa, l'importanza di questo fattore: "sta nel nascere nella cultura dotta dell'Europa di una presenza ebraica che pone l'esigenza di una lettura ebraica della Bibbia e di una interpretazione ebraica di Gesù. Ciò si afferma chiaramente dalla fine del XVI secolo e costituisce un polo di riflessione critica fondamentale".[25] Questa ricerca non finisce con Salvador o con Klausner, ma - come è noto - si moltiplica nella seconda metà del Novecento. E' evidente che a questa ricerca mal si applicano i "paradigmi" di Segalla, ma essa è parte integrante della ricerca internazionale.

L'applicazione ai  principali autori di opere sul Gesù storico dei tre paradigmi diventa debole anche perché Segalla è in qualche modo costretto a ricondurli tutti a matrici teoriche invece di analizzarne le tesi dal punto di vista esegetico e storico. Egli ha qui ceduto forse un pochino alla tentazione cui soccombe una parte dell'odierna apologetica che di fronte alla difficoltà di dimostrare esegeticamente e storicamente le proprie convinzioni fa ricorso all'ultima difesa possibile: quella della "precomprensione" e dell'ermeneutica.

 


[1] Il brano seguente è tratto da: M.Pesce, "Per una ricerca storica su Gesù nei secoli XVI-XVIII: prima di Hermann S.Reimarus", Annali di Storia dell'esegesi, 28/1 (2011), 433-464. Non ho trovato in Chubb la teoria dell'avvento imminente del regno, ma la dimensione escatologica del regno di Dio si. La mia lettura è consistita tuttavia solo in una prima ricognizione dell'apporto di Chubb alla ricerca sulla figura storica di Gesù.

[2] The English Church in the Eighteenth Century, 96.

[3] London 1738. Le opere di Thomas Chubb sono ora facilmente raggiungibili presso editori che ripubblicano le vecchie edizioni, come Gale Ecco Print Editions o Kessinger Publishing.

[4] Second Edition, London, Tho.Coc, 1741.

[5] Remarks on Mr. Tho. Chubb's Short dissertation on providence : with animadversions on his True gospel of Jesus Christ asserted ... with an introductory epistle, wherein these remarks are particularly offered to Mr. Chubb's consideration, London, Printed for D. Farmer, 1738.

[6] Letter to Mr. Thomas Chubb: occasion'd by his late book, intitled The true Gospel of Jesus Christ, asserted, London, printed for J. Stagg and sold by J. Roberts, 1739. 

[7] Examination of a book intituled The true gospel of Jesus Christ asserted [electronic resource], by Thomas Chubb: and also of his appendix on providence. To which is added, A dissertation on episcopacy, London, printed for John Clarke, 1739.

[8] Le due opere (The true Gospel of Jesus Christ asserted e The true Gospel of Jesus Christ vindicated) furono ripubblicate in: A collection of Tracts on various subjects Vol. II, Part I, London, T. Cox, 1743).

[9] London, J. Noon, 1740.

[10] Charge delivered to the clergy of the Archdeaconry of Wilts : at the Easter visitation in the year 1739, containing observations on Mr. Chubb's True Gospel of Jesus Christ asserted, London : Printed for F. Gyles, 1739.

[11] Infidelity scourged: or, Christianity vindicated. From the scandalous aspersions of Mr. Thomas Chubb, Dondon, H.Kent, 1746.

[12] The True Gospel, 5.

[13] Ivi, 18-19. Gesù non insegna «alcuna nuova strada», né  per ottenere il favore di Dio, ivi, 30. Anche per il pentimento «non insegna se non la buona antica via, cioè il pentimento e la correzione delle strade malvage» ivi, 35-36.

[14] Ivi, 55.

[15] Ivi, 43.

[16] Ivi, 138.

[17] Ivi, 90.

[18] Ivi, 180. Su Chubb vedi anche M.Sina, L'avvento della ragione. «Reason» and «aabove Reason» dal razionalismo teologico inglese al deismo, Milano, Vita e Pensiero, 1976, 655-670, un capitolo che leggo solo ora nonostante avessi il libro di Sina in casa da anni.

[19] Reimarus è all' "inizio della ricerca moderna sul Gesù storico" (p.16 nota 4).

[20] E.Cassirer, Das Erkenntinsproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, trad. it.: Storia della filosofia moderna, Vol.IV, Torino, Einaudi, 1958, 359.

[21] P.Casini, "Illuminismo", in Enciclopedia delle scienze sociali, 1994, on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/illuminismo_%28Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali%29/.

[22] D.Menozzi, Letture politiche di Gesù. Dall'Ancien Régime alla rivoluzione, Brescia, Paideia, 1979. Cfr. anche Id.,  "Le interpretazioni di Gesù nell'età della rivoluzione francese", Annali di Storia dell'Esegesi 21 (2004) 617-643.

[23] F. Sofia, "Gerusalemme tra Roma e Parigi: Joseph Salvador e le origini del cristianesimo", Annali di Storia dell'Esegesi 21 (2004) 645-662; G. Aragione, "La messianità di Gesù nella ricerca ebraica contemporanea. Stato della questione", Annali studi religiosi 2 (2001) 9-52, in particolare 14-15. Vedi anche il breve cenno che ne fa D. Jaffè, Jésus sous la plume des historiens juifs du xx siècle, Paris, Cerf, 2009.

[24] Chicago, Chicago University Press,  1998. Vedi anche Trude Weis-Rosmarin, Jewish Expressions on Jesus, New York Ktav 1976; M.Hoffman, From Rebel to Rabbi. Reclaiming Jesus and the Making of Modern Jewish Culture, Standford, Standford University Press, 2007; N.Stahl (ed. ), Jesus Among the Jews. Representation and Thought, London-New York, Routledge, 2012.

[25] Pesce, "Per una ricerca storica su Gesù nei secoli XVI-XVIII: prima di Hermann S.Reimarus", 439.