Romano Penna: sono stato frainteso (Lettera a Repubblica)

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Caro dott. Augias, Le scrivo a proposito dell’articolo apparso l’altroieri su questo giornale e intitolato «“Sciocchezze, errori e falsità”: così la Chiesa processa i best seller». Le chiedo la cortesia di ospitare queste mie righe, motivate dal fatto che là, oltre il sensazionalismo del titolo, sono riportate parole attribuite a me e che invece non riferiscono adeguatamente il mio pensiero: evidentemente l’intervista telefonica non aveva permesso né a me di esprimermi correttamente né all’intervistatore di comprendere esattamente quanto intendevo dire.

Ecco dunque le mie precisazioni ‘autentiche’. Prima di tutto nego decisamente che si possano porre sullo stesso piano il libro di Dan Brown e quello di Augias-Pesce: tra i due passa la stessa differenza che c’è tra un romanziere e un ricercatore di laboratorio. Mi limito perciò a parlare del secondo. A questo proposito, dev’essere anzitutto ben chiaro che io stimo il Prof. Pesce come uno dei migliori studiosi delle origini cristiane oggi esistenti in Italia. Il libro che egli ha scritto insieme a Lei, di cui ho sempre apprezzato l’onestà intellettuale, è un bell’esempio di applicazione della critica storica alla ricostruzione della figura del Gesù terreno, che, come sanno tutti gli studenti delle nostre Facoltà, sta al di là delle (eppure anche dentro le) fonti che ce ne tramandano l’identità. È necessario, perciò, parlare di Gesù non solo dal punto di vista devozionale o dogmatico, essendo ben consci che la stessa devozione e la dogmatica hanno tutto da guadagnare da una ricollocazione storica di Gesù nel suo tempo e nel suo ambiente. E se la fede cristiana sa che egli ha una statura tale da travalicare quel tempo e quell’ambiente, anche la ragione sa che di quei parametri non solo non si può fare a meno ma pure che essi sono indispensabili per comprendere a fondo, detto in termini teologici, il dato incomparabile dell’incarnazione. L’alternativa sarebbero soltanto forme deprecabili di fondamentalismo. E invece, anche la ragione credente ha i suoi diritti!

Il libro in questione, dunque, rende un servizio utile a chiunque. Dire poi che le dichiarazioni di Pesce sono minimaliste (il termine è infelice perché ambiguo) significa soltanto riconoscere che egli opera da storico, limitandosi alla fisionimia religioso-culturale di Gesù e tralasciando di approfondire il discorso sulle ermeneutiche di fede sviluppatesi su di lui dopo l’evento pasquale, documentate nel canone neotestamentario. Io stesso, però, sostengo che la risurrezione di Gesù non può essere qualificata come evento storico, essendo invece storico il dato della fede dei discepoli in lui risorto. D'altronde, riconosco che, quando ci si esprime su un qualunque oggetto di dibattito, non si può sempre scrivere una enciclopedia che dica tutto il dicibile!

Perciò il libro di Augias-Pesce, come succede anche per quanto io stesso ho modo di pubblicare, non chiude il dibattito: semmai lo rinfocola. Tuttavia questo è il bello, cioè che la ricerca (e lo stesso vale per la fede!) non si chiude mai in se stessa ma si apre a sempre nuovi orizzonti, sapendo che la posta in gioco è inesauribile.

Romano Penna

docente di origini cristiane

alla Pontificia Università Lateranense